COSA STA SUCCEDENDO?


Gigino A Pellegrini & G el Tarik – Nel sogno della notte scorsa, sono stato spettatore di un inverosimile film senza il costo del biglietto.

Cosa verrebbe fuori se si volesse cercare di analizzare la complessa relazione tra due diversi tipi di atteggiamenti quello socio-temporale come “la vita di tutti i giorni” e il momento dell’incontro con l’arte?  L’eterna condanna dei viventi non è qualcosa che sarà; è quello che è già qui, l’inferno che viviamo tutti i giorni, che formiamo vivendo insieme nel sociale. Potrebbero essere due i modi per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte. Il secondo è più rischioso ed esige attenzione e apprendimento continuo. Per esempio, il concetto di Italo Calvino dello “inferno”, deriva dal suo immaginare la crisi della modernità come una sorta di vaso di Pandora. I tempi in cui viviamo, in cui l’inferno fiorisce, suggeriscono che se vogliamo espandere i nostri orizzonti, “guarire il mondo,” imparare gli uni dagli altri, e cominciare a ridefinire nozioni di evoluzione, dobbiamo scegliere di iniziare tale lavoro da una via di mezzo, un punto senza origini, cioè come uno stato rizomatico di costanti del “divenire”. In generale, si potrebbe pensare ad una esperienza come un insieme di sensibilità e possibilità che producono un soggetto cosciente, sulla scia della globalizzazione e identità politica. Questo tipo di esperienza sembrava essere riservata agli oppressi ed emarginati, proponendo una responsabilità di coloro che non appartenevano a tale esperienza per riconoscere e convalidarla, con un atto di “benevolenza”. Un atteggiamento, questo da protettore di animali domestici, che porterebbe verso certi aspetti più semplici e tuttavia profondi dell’umanità, verso quei fili comuni che collegano ogni soggettività nel mondo in generale, in breve, della quotidianità. Come potrebbe funzionare un rivedere la nozione di “esperienza” nel nostro attuale clima culturale al fine di presentare noi stessi gli uni agli altri e creare nuove strade di dialogo in modo di affermare la differenza e respingere l’omogeneità?  Se si insiste sul fatto che non vi è alcun riferimento esterno da cui partire per guardare consapevolmente e giudicare, allora lo spazio di tutti i giorni, la routine, potrebbe agire come una lente attraverso la quale si potrebbe considerare una tale posizione e filtrare le nostre differenze e i tratti comuni. Il senso di reciprocità può essere condiviso tra lo spettatore e il creatore di un’opera d’arte in termini di esperienza. Questo senso si rivela durante l’incontro con l’opera d’arte quando agisce da fulcro tra due interpretazioni dello stesso evento. i due aspetti della sua composizione e la sua ricezione come collegato con l’esperienza. Se uno viene rimosso dalla banalità del contesto quotidiano attraverso l’incontro con l’opera d’arte, si potrebbe creare un tipo di “vivere attraverso” ciò che è altrimenti trascurato o ignorato. L’opera d’arte in questo senso avrebbe il compito di creare un forum in cui esperienze diverse possono essere considerate. Dando così all’artista la possibilità di appropriarsi e manipolare l’oggetto comune. La sfida, quindi, è quella di pensare al di là di queste limitazioni previste al fine di individuare uno spazio di incertezza nella vita quotidiana, che consente una trasformazione socio-politica. L’incontro artistico si presenterebbe come punto di partenza praticabile per tale considerazione. Pertanto, un tale incontro potrebbe essere un buon trampolino di lancio nel ribaltare un sistema di pensiero ormai giunto al suo quasi esaurimento.

 

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