“Il mare nasconde le stelle”, il libro di Francesca Barra


Salvino Cavallaro – Parlare di Francesca Barra in qualità di giornalista – scrittrice, ci riesce facile. Sì, perché facile e solare è il suo modo di narrare le cose che accadono nella vita di tutti i giorni. Anche certi temi scottanti che colpiscono le nostre coscienze, dei quali siamo tutti responsabili. Nessuno escluso, neanche il Potere. Francesca Barra appartiene a quell’intendere della comunicazione diretta che mette a nudo certe problematiche sociali spesso denunciate, ma mai approfondite come gravi macchie sociali da risolvere con urgenza. E’ successo con il suo libro “Tutta la vita in un giorno” in cui ha affrontato in prima persona la tremenda esperienza vissuta accanto ai clochard, proprio per poterla raccontare meglio in tutti i particolari. E succede anche oggi con la sua ultima fatica letteraria edita da Garzanti “Il mare nasconde le stelle”, in cui affronta il gravissimo tema del nostro tempo, che riguarda la gran massa di migranti che fuggono da terre in cui la guerra, la persecuzione e la morte, sono fonti di oppressione. E’ la storia vera di un ragazzo di 14 anni cristiano copto, che lascia la sua famiglia, la terra in cui è nato, per avventurarsi in un lungo viaggio chiamato “speranza”, chiamato “sogno di vita vera”, ma chiamato anche “altissimo pericolo di morte”. Lunghi viaggi su barconi stracarichi di vite umane che spesso affondano nelle acque del Mediterraneo. “Sono partito da solo da Alessandria con un piccolo peschereccio quasi distrutto. Sono partito all’improvviso, senza salutare la mia famiglia. Sono scappato perché nel mio paese non ero più libero di professare la mia fede. Sono scappato perché temevo per la mia vita e per quella dei miei genitori. Sono entrato a far parte di un nuovo popolo, in cui bisogna fare i conti con molte cose. Prima di tutto con sé stessi, poi con il pudore, la vergogna, la paura. Questo è il popolo dei migranti. Io sono diventato un migrante.” A parlare è Remon, il ragazzo che si fa partecipe del popolo dei migranti che non hanno volto, né nome, e non hanno neanche il diritto di stare al mondo. E’ il problema di integrazione in una terra in cui si pensa e si dice a chiari lettere: “Rimandateli a casa sui loro barconi, questi migranti. Cosa vogliono da noi, prima dobbiamo fare fronte agli italiani. Vengono qua e vogliono privarci di tutto, del nostro cibo, del nostro lavoro. Non diamogli niente, non guardiamoli neanche in faccia”. Parole crude che fanno male, che offendono i diritti dell’uomo. Sì, perché certe coscienze potrebbero anche accorgersi che in fondo i migranti ci somigliano. Che sono vecchi, bambini, uomini, donne. Che sono esseri umani, proprio come noi. Remon è fuggito per cercare la libertà e il suo sogno di studiare per diventare ingegnere. Ma la libertà ha un prezzo altissimo. Ha il prezzo della nostalgia per mamma e papà che sono lontani, ha il prezzo di una famiglia che non c’è più, ha il prezzo di sentirsi diversi tra un popolo che non ti accetta. Nella narrazione di Remon c’è lo spirito dell’autrice che mette costantemente in rilievo la LIBERTA’ come valore primario di ogni essere umano. La libertà di decidere, di professare la propria religione, le proprie idee politiche, sociali, culturali, di costume, che significano rispetto per la diversità. Si può non condividere ma è assolutamente necessario rispettare l’altrui pensiero. Questo, purtroppo, non accade in Egitto, il Paese in cui è nato Remon che a 14 anni ha conosciuto la paura di vivere fra le strade, le chiese e persino in famiglia. Un inferno di angosce, di persecuzioni. “Non riuscivo a capire come fosse possibile stare vicini per tanti giorni e non parlarsi mai, non scambiare mai uno sguardo. Forse perché la tristezza e la paura non hanno voce”- sono parole di Remon che angosciano noi, che della libertà spesso non riusciamo neanche più ad apprezzarne il grande valore. Oggi Remon abita ad Augusta, ed è circondato dall’affetto di una nuova famiglia e di nuovi amici. Ma la mamma, il papà e suo fratello che sono lontani, gli mancano da morire. Ha 16 anni, studia con buona lena e continua ad inseguire quel sogno di libertà che dovrebbe essere connaturato nell’uomo fin dal giorno in cui è venuto al mondo. Purtroppo non è così. E Francesca Barra, che ha raccolto la preziosa testimonianza di questo ragazzo egiziano, nel racconto di un viaggio fatto di disperazione e crudeltà, ci ricorda che i fondo la storia dei migranti è anche la storia dell’essere umano. Appartiene dunque anche a noi italiani ed europei, che ormai abbiamo fatto l’abitudine a girarci dall’altra parte.

Salvino Cavallaro 

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