E intanto nel Canale di Sicilia si continua a morire nell’indifferenza


Salvino Cavallaro – Mentre continua inarrestabile il flusso di migranti dalla Libia e dai paesi oppressi dalla guerra, l’Europa guarda passivamente dalla finestra. Non sa cosa fare? Oppure non ha interesse di agire? E’ l’eterno dubbio amletico che sorge spontaneo, mentre sul Canale di Sicilia si continuano a perdere vite umane e vittime della disperazione. In una delle tante giornate funestate dal naufragio davanti alle coste libiche, un altro cadavere si aggiunge all’ormai lunghissima lista di morti che calcoliamo tutti i giorni come fossero insignificanti momenti di vita. Nell’affondare dell’ennesimo barcone di fortuna, una mamma è annegata durante la traversata del Canale di Sicilia. Prima di morire ha consegnato la sua bimba di 9 mesi a una compagna di viaggio che l’ha portata sana e salva al porto di Lampedusa. E’ una delle tante storie che emozionano,che fanno accapponare la pelle, che ti fanno quasi vergognare di appartenere a un mondo arido che non fa più germogliare i sentimenti di umanità. Leggiamo, ascoltiamo, guardiamo quasi indifferenti in televisione le immagini strazianti di disperazione di popoli che sfidano consapevolmente la morte per vivere e per raggiungere il sogno della libertà e dei diritti dell’uomo. Già, la libertà e i diritti dell’uomo. Quante volte abbiamo toccato questi temi che risalgono alla genesi dell’uomo stesso, alle sue radici profonde radicate alla riflessione sul senso della vita e sul significato di essere nati in un mondo che non mette più tra le  priorità l’importanza della vita stessa. Raccontare i momenti di disperazione e le morti assurde di bambini, donne, uomini, vecchi, che sono persone e non numeri, non basta più per sensibilizzare un agire che auspichiamo per risolvere (o almeno attenuare) un problema che ormai si è ingigantito a macchia d’olio. Ma niente, non cambia nulla. Mentre l’Europa si gira dall’altra parte e, in qualche caso se ne frega pure di rispettare il trattato di Schengen chiudendo i propri confini, viviamo nell’indifferenza più bieca. E’ come se avessimo fatto l’abitudine a un qualcosa che prima ci incuriosiva e che adesso ci scivola addosso come idrorepellente. No, non si può avere negli occhi certe scene e restare insensibili. E così ci si divide tra chi lotta politicamente per respingere quei precari barconi affollati di persone che chiedono aiuto e c’è chi pensa che l’affare non ci riguarda, visto che l’Unione degli Stati Europei non smuove neanche un dito per agire su questo grave problema sociale. E intanto, in maniera sfuggevole e colpevolmente superficiale leggiamo i titoli dei giornali: “Barcone si rovescia: si temono 30 morti” oppure “Migranti: a Palermo sbarcano 1.053 persone, 260 minori soli”. E mentre pensiamo ai pochi volontari, al coordinamento delle Prefetture delle coste siciliane, ai medici che si prodigano al salvataggio di vite umane, ci chiediamo perché non riusciamo a inculcare nella nostra mente quella frase scritta da Martin Luther King: “Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato a vivere come fratelli”.

 

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