Quel carrozzone chiamato PD


Salvino Cavallaro – Tutti d’accordo su disprezzare la parola scissione, ma alla resa dei conti è stato chiaro il desiderio della minoranza di separarsi. L’assemblea del PD dà via libera al Congresso e oggi si deciderà definitivamente la separazione consensuale. E’ ormai tutto stabilito. Matteo Renzi che rassegna le proprie dimissioni da Segretario del Partito, (mentre si ricandida alle prossime elezioni) e la minoranza composta da Emiliano, Speranza e Rossi che decidono per la scissione. “E’ ormai chiaro” dice la minoranza “che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione, assumendosi così una responsabilità gravissima”. Ma la maggioranza non ci sta, e così ribatte:”Era evidentemente una decisione già presa da tempo”. Accuse e controaccuse che hanno fatto dell’assemblea del PD un ritrovo di amici degli amici che sono contro i nemici. Tutti a dire che per il bene del Partito è essenziale l’unione, a prescindere dalle diverse vedute che non possono e non devono essere insanabili, ma poi all’atto pratico non è stato così. E persino Veltroni, Cuperlo, Orlando e altri prestigiosi nomi della Sinistra Democratica hanno fatto appelli all’unità. Pulpiti autorevoli e parole che vanno al vento, mentre l’Italia dei terremoti, dei giovani che si uccidono perché sono senza lavoro e famiglie che sono alle prese con la difficoltà del vivere quotidiano, si indignano davanti alle immagini che sono colme di chiasso, di sguardi maligni, di sotterfugi e di striscianti atteggiamenti pieni di egoismo. Un baccano che sa più di arrivismo politico e sete di Potere, piuttosto che di reale voglia di curare un Paese che è malato di tante cose; forse di tutto. Ma a chi giova tutto questo guazzabuglio? A nessuno, neanche al PD, che con queste continue liti insanabili non fa altro che fare da boomerang contro se stesso, agevolando gli avversari di sempre, che in tutta questa storia ci sguazzano piacevolmente nella convinzione di quintuplicare i voti di un elettorato che non ne può davvero più. Un elettorato che è a dir poco disorientato e che si allontana sempre più da una politica che non lo rappresenta. E’ l’era del populismo che non gode più dei grandi statisti del passato e neanche di una classe dirigente capace di auto convincersi che la strada intrapresa è senza uscita. Superficialità di una politica che non incide, che non si responsabilizza per il bene di un Paese che è in ginocchio. Dire:“Abbiamo vinto”, è come manifestare l’effimero di un pensiero che non si fregia dell’orgoglio per un’Italia dai mille volti carichi di problemi economici e sociali mai risolti. Ci piacerebbe riassaporare il gusto inconfondibile di quelle ideologie perdute, di quei valori culturali che hanno contraddistinto la sinistra dalla destra e da un centrismo che non esiste più. Per questo diciamo: “Beati coloro che resistono, che credono comunque, legati come sono a dare sempre un senso a tutto – anche a qualcosa che un senso non ce l’ha più”.

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