Marcella Mancuso: ”Pugni di Loto è un viaggio interiore che ognuno dovrebbe fare”


Foto Marcella Mancuso —

Salvino Cavallaro – Capita di leggere un romanzo e di essere subito affascinati dall’interessante trama capace di coinvolgerti fino all’ultima pagina. E’ il caso di “Pugni di Loto”, un libro scritto da Marcella Mancuso e pubblicato da Ferrari editore. La cosa che maggiormente spicca fin dalle prime righe di questo romanzo è la fluidità di scrittura e la semplicità letteraria che si accompagna a una storia bella, ideata in quei meravigliosi giardini del lontano Giappone che da sempre sono l’emblema della meditazione orientale. Già, la meditazione come frutto di momenti che ne determinano l’essenza della vita nell’introspettiva del ritrovarsi, di conoscersi, di sapere chi siamo e che significato diamo all’unicità del nostro esistere. Tutti temi che Marcella Mancuso, scrittrice siciliana che si presenta come interessante novità della vasta letteratura italiana, tratta magicamente e realizza attraverso la sua fantasia in uno sforzo letterario davvero apprezzabile. Un giardino zen dallo splendore quasi perfetto, dove farsi cullare dalla luce, dall’acqua, dagli alberi, dai fiori che emanano il profumo dal significato di ogni cosa. E sullo sfondo la presenza di una bambina (Hanaco), che dopo la morte della mamma affida tutto il suo crescere al padre cui si lega in maniera indissolubile, interiorizzando tutto il sapere di vita che è l’emblema del suo essere “architetto dell’anima”. E così la storia si dipana tra grandi filosofie esistenziali e momenti di vera emozione, capaci di incuriosirti e a tratti renderti pure partecipe di ciò che stai leggendo. E’ la bravura di Marcella Mancuso, giovane autrice messinese che dopo avere scritto il romanzo ”Estate e dintorni”, con “Pugni di Loto” ha saputo curare un testo letterario ricco di sentimenti e di filosofici aspetti di vita strutturati in una storia che si dipana tra mille situazioni che sfociano in un umano romantico, idealista e capace di tantissime riflessioni. E, data la notevole intensità emotiva suscitata da questa bellissima storia ideata da Marcella Mancuso, capita pure di avere voglia di conoscere più a fondo questo personaggio che stuzzica davvero la nostra curiosità. Conosciamola dunque in questa esaustiva intervista che ha l’intento di entrare nella sua anima, per coglierne i palpiti dei sentimenti che sono emersi in una letteratura capace di porre domande esistenziali.

Marcella Mancuso, dopo avere pubblicato il romanzo “Estate e dintorni” come nasce l’idea di scrivere “Pugni di Loto”?

Estate e Dintorni” è stato un primo tentativo letterario; una storia gradevole e divertente ma anche molto breve, alla stregua di un racconto lungo, che ha comunque avuto un discreto successo quantomeno nella platea cittadina. Con “Pugni di Loto” ho voluto finalmente dar corpo ad un progetto più importante, che mi frullava in testa già da qualche tempo. Ho sempre amato molto la narrativa giapponese ed i suoi autori, sin da quelli più antichi, e negli ultimi 10 anni ho concentrato le mie letture per lo più su testi che parlassero del Giappone e della cultura Nipponica: ho spaziato da Murakami a Soseki, da Kazuo Kirino a Banana Yoshimoto sino ad approdare a Murasaki Shikibu, una dama di corte del periodo Heian (VIII – XII sec. D.C. Tale epoca prende il nome dall’allora capitale dell’impero: Heian-Ko, l’odierna Kyoto), autrice del Genji Monogatari, che i critici letterari considerano essere il vero primo romanzo moderno. Fondamentale per me è stata anche la lettura di “Ore Giapponesi” di Fosco Maraini, il padre di Dacia Maraini. Si tratta di un libro scritto verso la fine degli anni ’60 dello scorso secolo, e narrando del ritorno in Giappone dell’autore dopo la seconda guerra mondiale, correda il racconto con delle bellissime fotografie che completano la visione di un paese che pur mantenendo le sue antiche tradizioni culturali si proietta verso l’occidente e la modernità. Devo dire che la maggiore ispirazione l’ho trovata proprio sfogliando questo libro e immergendomi nelle sue splendide immagini di giardini e templietti nascosti nella natura incontaminata…osservando alcune fotografie mi sembrava quasi di percepire i rumori e gli odori di quei luoghi lontani.

In questo suo ultimo romanzo ambientato in Giappone, emerge preponderante la ricerca della propria essenza in un’interiorità che scava continuamente la profondità dell’anima. Una filosofia che dà il significato alla vita.

Si, “Pugni di Loto” parla della ricerca di sé; si tratta di un viaggio interiore che ognuno di noi, ad un certo punto della sua vita, dovrebbe fare. Tra l’altro non credo che cercare ed analizzare la propria interiorità serva solo per conoscersi meglio; sono fermamente convinta, infatti, che fermandosi ad ascoltare la propria anima e dando spazio a tutto quello che inevitabilmente mettiamo da parte o diamo per scontato perché rapiti dal tran tran giornaliero e dai bisogni più materiali, impareremmo a conoscere veramente anche tutti coloro che ci stanno intorno. La filosofia shinto, che ho approcciato da poco e proprio perché la storia me la richiedeva, è stata la scintilla che ha dato vita alla vicenda. Haruo ed Hanako, da shintoisti doc amano la natura, la considerano parte della loro vita e basano le loro esistenze sui suoi principi, che poi porteranno Hanako stessa a intraprendere la strada non solo interiore, ma anche reale, che la porterà a capire e conoscere il vero significato della vita, e non solo della sua…

Hanako e Haruo, figlia e papà racchiusi in un rapporto intenso e indissolubile che è il motivo conduttore di “Pugni di Loto”. C’è una certa correlazione tra i due personaggi da lei inventati, con il suo essere Marcella nei confronti di suo padre?

In realtà no, nel senso che la mia è sempre stata una famiglia tradizionale, forse anche un po’ all’antica. Mio padre è un professore di ginecologia all’università ed è stato uno dei ginecologi più importanti e conosciuti della mia città, stimato persino fuori dalla Sicilia; questo ovviamente ha comportato che fosse molto impegnato e dunque poco presente in casa, per quanto sempre disponibile per i nostri bisogni. Io e mia sorella abbiamo avuto un’educazione molto rigida e siamo cresciute in un ambiente molto formale nel quale i ruoli di ognuno erano perfettamente riconosciuti e rispettati. C’erano papà e mamma che decidevano il meglio per noi, e c’eravamo noi che ubbidivamo, anche se spesso con grande malumore. La famiglia di Hanako è molto diversa dalla mia. Il fatto che manchi la madre sovverte le posizioni dei suoi componenti, in quanto Haruo si trova nella difficile posizione di crescere una bambina con le sue sole forze. La famiglia Kumagai è molto diversa anche dalla tipica famiglia giapponese, dove come a casa mia, i ruoli sono fondamentali ed ognuno deve rispettarli. Hanako ed Haruo oltre che un padre e una figlia sono anche amici, complici, confidenti, ed è per questo che ad un certo punto della storia, quando lei scoprirà delle cose che non sapeva e non poteva minimamente immaginare sul conto di suo padre, Hanako crederà di essere stata tradita ed entrerà in una profonda crisi esistenziale.

Lei è laureata in Scienze Giuridiche, un indirizzo universitario che non fa pensare alle caratteristiche vere di una scrittrice. Quando ha scoperto questa sua predisposizione a scrivere testi letterari?

In realtà scrivo da quando ero piccolissima. Il mio primo libro l’ho “scritto” quando ero ancora all’asilo. Si trattava di un quaderno sul quale avevo disegnato la storia di un fantasmino e della sua famiglia, e avevo inserito le classiche nuvolette per i dialoghi che avevo fatto riempire a mia madre. Da quel momento in poi non ho mai smesso; conservo ancora quaderni e pagine dattiloscritte (da ragazzina usavo una vecchia macchina da scrivere di mio padre) dove racconto mille storie che non so se un giorno, opportunamente rielaborate, vedranno la luce. Tra l’altro, oltre alla laurea in ambito legale, anche il lavoro che faccio è lontanissimo dall’idea che uno potrebbe farsi del classico scrittore. Infatti, essendo un consulente finanziario, probabilmente si sarebbe più propensi a immaginarmi a scrivere letteratura di settore. In realtà amo molto questo contrasto tra la mia vita reale e quella dei miei personaggi che sono sempre molto interiorizzati, problematici, persino infelici, e sono tutti molto lontani dal mio modo di vivere pragmatico e concreto. Forse incarnano quella parte di me che tengo nascosta e che di tanto in tanto faccio vivere tra le pagine.

Il suo amore per il Giappone e la cultura orientale. Come ha pensato di imperniare tutto il suo racconto sul significato profondo di ciò che vuol dire la parola “architetto dell’anima?”.

L’epiteto di “Architetto dell’Anima” è nato spontaneamente; come altro avrei potuto definire un padre che pianifica la crescita spirituale e materiale di una figlia, sulle antiche orme della famiglia? A parte gli scherzi, “Architetto dell’Anima”, che originariamente era il titolo del mio romanzo, ma che alla fine, insieme all’editore Ferrari abbiamo deciso di cambiare per motivi commerciali che avrebbero potuto sviare l’attenzione dal contenuto del libro, credo sia la definizione più appropriata per il ruolo che Kumagai Haruo, e prima di lui anche i suoi avi, rivestono. Anche Hanako sarà un Architetto dell’Anima, perché chi vive fondendo la sua esistenza con la natura, i suoi valori, la sua bellezza e semplicità non può, secondo me, essere definito altrimenti. Inoltre la competenza di creare giardini in Giappone, dove l’Ikebana è una delle arti più importanti, non può assolutamente equipararsi alla stessa nel resto del mondo. In Giappone nell’affrontare tale opera ci si mette l’anima e lo si capisce da tutti i criteri, le regole ed i simbolismi che un giardino deve racchiudere; qui da noi basta rispettare l’estetica ed il gioco è fatto. Un’ultima considerazione: come si cerca la perfezione della natura originale nei giardini, così la ricerca della perfezione interiore non può essere pianificata da altri se non da un Architetto dell’Anima.

Marcella, ma che cos’è l’emozione? Forse scoprire e riconoscere il proprio IO attraverso il profumo dei fiori e i suoni di un giardino perfettamente curato, dove ogni cosa ha il suo significato?

Anche; l’emozione può scaturire da molte cose ovviamente, ma l’odore di terra bagnata dopo un temporale, lo scintillare delle foglie verdissime sotto i raggi del sole di prima mattina, quando l’atmosfera intorno sembra liquida e si sente in lontananza solo il cinguettare timido degli uccellini, lo scrosciare di una cascatella tra le rocce…questa secondo me è l’emozione delle origini, e senza accorgermene l’ho ritrovata tra le mie pagine. La natura incontaminata può essere malinconica o gioiosa, vibrante o sonnolenta, povera o ricca…l’emozione della pace si può trovare anche solo sedendosi all’ombra di un sicomoro e restando ad ascoltare i suoni tutto intorno, che poi sono la voce del nostro io che normalmente non riusciamo a sentire per il troppo frastuono della vita contingente.

Nel suo libro si parla soprattutto di interiorità e dell’importanza di saper cogliere le cose semplici della vita. Sentimenti profondi che non lasciano spazio alla deriva materiale dell’oggi occidentale. Ma qual è la strada giusta per arrivare a vivere una vita di qualità?

Intanto bisogna partire dal presupposto che ognuno di noi ha un suo concetto di vita di qualità, ed il primo passo è proprio quello di individuare di quale qualità abbiamo bisogno. Certamente per vivere una vita di qualità occorre essere soddisfatti di quel che si fa, che sia lavoro o gestione della famiglia abbiamo tutti l’esigenza di realizzarci per star bene con noi stessi. Poi andiamo ai valori: sono convinta che questi siano il sottostante fondamentale affinché si possa vivere davvero a pieno. Dunque, occorre seguire quelli giusti, quelli alla base della nostra cultura senza per forza ricorrere a quelli sentiti in Giappone, tanto i valori più importanti sono quelli universali. Oggi siamo tutti stressati perché probabilmente inseguiamo l’effimero: spesso non abbiamo tempo per fermarci a riflettere su cosa davvero ci farebbe stare meglio, perché le urgenze sono talmente tante da non lasciarci un attimo per pensare a quello che davvero conta. Io l’ho capito scrivendo “Pugni di Loto”, perché mi sono accorta che riuscivo tranquillamente a mettere da parte cose che prima credevo indispensabili per ritagliare del tempo e fare quel che in quel momento mi rendeva felice, cioè scrivere la mia storia. Per vivere una vita di qualità, dunque, credo si dovrebbe dare maggiore ascolto a quel che ci dice il cuore, ed avere il coraggio di scostarsi dal rumore per assaporare il gusto così salutare del silenzio e la compagnia del proprio io.

Leggendo il suo libro si avverte anche un forte senso di appartenenza a tutto ciò che è mistico. Quanto è importante per l’essere umano credere nel proprio Dio, rivolgendo tutte le proprie fragilità?

Credo sia importantissimo. Che si tratti di Dio Onnipotente, di Allah, Buddha, dei Kami giapponesi, o di qualsiasi altra divinità, quel che conta è che nei momenti bui ci si possa affidare a qualcosa di ultraterreno che doni la speranza e la forza di andare avanti. Io credo molto nella vita oltre la morte e do una possibilità anche alla reincarnazione, per quanto questa mia visione si discosti dal credo cattolico tradizionale e si accosti di più al buddhismo ed allo shintoismo. La sfera mistica ha sempre avuto un ruolo importante all’interno della mia famiglia, siamo sempre stati abituati a dare ascolto a tutti quei segnali che potevano testimoniare la presenza di una sfera ultraterrena ma molto vicina a noi…chissà, magari prima o poi ci scriverò anche un libro…

Marcella, ma è vero che il destino della propria vita è segnato dal proprio nome?

Nella cultura occidentale non credo che si badi molto a questo aspetto, nel senso che difficilmente si sceglie il nome di un figlio pensando che questa scelta influenzerà il suo destino. Per la cultura orientale in genere è diverso, basti pensare che il nome di Mao Tse Tung (il dittatore della Cina comunista) significava “splendore sull’oriente” e che lui, come speravano evidentemente i suoi genitori, arrivò a dominare il suo paese. “Pugni di Loto” si svolge in Giappone, dove la cultura ha avuto grandi influenze da parte di quella cinese. Il modo di vedere la vita ed il mondo per la cultura orientale, così ricca di simboli, è diametralmente opposto al nostro, dunque, credo che sia ovvio che per questi meravigliosi popoli il nome abbia una funzione importantissima nella vita. Certo nell’economia del mio romanzo il nome dei personaggi ha un ruolo fondamentale che probabilmente noi europei non comprenderemo mai a fondo, ma che sinceramente ha una grande carica romantica, dal mio punto di vista.

Con questo suo romanzo, pensa di essere riuscita a stabilire quella sorta di empatia con i suoi lettori?

Questa volta credo di si, almeno se mi baso sui commenti entusiastici che mi arrivano da parte di coloro che mi hanno letta. Proprio qualche giorno fa mi è capitato ad una cena di parlare con un conoscente che ha comprato il mio libro; mi diceva che aveva fatto quell’acquisto per vedere che cosa avevo scritto, essendo forse un po’ scettico perché mi conosceva nella mia solita, rigida veste di consulente finanziario, probabilmente poco incline ai sentimentalismi. Sono stata felice di sapere che il mio conoscente è rimasto talmente affascinato dal mio lavoro, da aver deciso di rileggere il libro per una seconda volta, specialmente, mi ha confidato, per le splendide descrizioni dei paesaggi, che l’hanno fatto immergere in un mondo che non conosceva e che adesso anela di andare a vedere.

Dopo “Estate e Dintorni” e “Pugni di Loto”, ha già in mente di scrivere un altro libro?

Si, in realtà sono già a lavoro, ma non voglio dire altro per motivi di scaramanzia. Nel frattempo ho anche frequentato un corso alla scuola Holden (quella di Alessandro Baricco) il cui relatore era uno scrittore fantastico e di fama internazionale, che ringrazio per i suoi preziosi insegnamenti e che penso di seguire ancora per imparare i segreti del mestiere: Marco Mancassola. Dunque, sto affiancando al lavoro di scrittura quello di studio delle tecniche narrative. Tutti mi dicono che scrivo molto bene, ma io penso che ci sia sempre un margine di miglioramento e non ho intenzione di risparmiarmi, perché sono convinta che il duro lavoro e l’impegno prima o poi paghino sempre.

Per finire Marcella. Lei ha definito questa sua ultima fatica letteraria come avere partorito un figlio. Segno evidente che lei è riuscita a mettere tutta se stessa, entrando anima e corpo su tutti i personaggi inventati e su un racconto capace di affascinare per i suoi lunghi momenti di riflessione. E’ così?

Assolutamente si! Scrivere “Pugni di Loto” è stata un’esperienza complessa e molto forte, per questo l’ho equiparata ad un parto. Studiare un mondo così diverso da quello che viviamo e ritrovarlo così affine al mio modo di vedere le cose è stato difficile, perché ho dovuto sondare anche profondità sconosciute del mio animo per riuscire a trascrivere certe sensazioni e certi stati d’animo. Durante i mesi in cui ho scritto questo libro, ed anche successivamente, durante la fase di rilettura prima della pubblicazione, finanche alle letture successive, quando ormai il libro vero e proprio aveva preso forma con tanto di copertina e titolo in grassetto, sono cresciuta; sembra paradossale detto da me, ma credo fermamente che questo libro lasci nel lettore attento un insegnamento, o meglio, che riesca ad indicare una strada interiore da seguire, ed anch’io, senza accorgermene ho seguito quel percorso di conoscenza che ho fatto affrontare ad Hanako. Sono stata al suo fianco durante le scoperte dolorose e le ricadute, durante le difficoltà e nei brevi momenti di gioia seguiti dallo sconforto, sino ad arrivare alla fine della sua storia che certamente è stata un po’ anche la mia, perché la piccola Hanako, la fragile Hanako, credo sia stata una piccola parte di me che aveva bisogno di spiccare il volo e che c’è riuscita attraverso queste pagine.

 

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