La forza dell’etichetta


Antonio Dovico – Problema: bisogna imbarcare una mucca su un traghetto, ma non vi sono ammessi altri animali che cani e gatti. Come procedere? Basta scrivere la parola cane sulla pancia della mucca e il divieto è superato.

Pensate che si tratti di una barzelletta, e avete ragione. Supponete ora di vedere in azione un ladro che indossa una maglietta con la scritta “galantuomo”. Pensate che vi farebbe ridere? Avete di nuovo ragione, ma attenti a non farvela rubare, questa ragione. Quel “galantuomo” è veramente un ladro, ma ha al suo servizio una folta schiera di esperti imbonitori capaci di convincervi che gli atti compiuti da quel soggetto non sono da qualificarsi come furti, ma inquadrati nell’ambito delle sue legittime prerogative. Il concetto può essere meglio illustrato dal seguente aneddoto.

Ad Alessandro Magno giungevano ripetute lamentele per le scorrerie di un predone che infestava il suo impero. Finalmente il predone fu catturato e condotto davanti al Re, che voleva giudicarlo personalmente. Invitato a discolparsi, il predone si dichiarò un grande estimatore di Alessandro, di cui voleva emulare le gesta, e fece rilevare come la sola differenza tra il comportamento di un conquistatore e quello di un predone fosse, per così dire, “quantitativa”: avendo rubato all’ingrosso e saccheggiato interi regni, Alessandro non veniva considerato un criminale, ma un re temuto e rispettato, mentre il modesto predone era rimasto solo un volgare delinquente. L’essere stato allievo di Aristotele aiutò Alessandro a riflettere sulla propria coerenza, e considerò che qualunque giudizio riguardo al predone, avrebbe dovuto applicarlo anche a se stesso. E così decise di assolverlo e autoassolversi. Morale della favola valida per tutti i tempi.

Con la liberazione dell’Europa dall’oppressione nazista, gli USA hanno meritato tutta la nostra gratitudine, sentimento che specialmente noi italiani abbiamo sempre entusiasticamente manifestato, spingendoci spesso fino alla venerazione, e sconfinando addirittura nell’idolatria. Negli anni ’50 si era giunti ad un tale livello di fanatismo, che un paio di jeans “originali” veniva ostentato e custodito come una reliquia. Ma ancora oggi tutto ciò che viene dall’America è considerato il meglio in assoluto, che si tratti di Coca Cola, di un ballo o di qualunque altra cosa: quel che conta è il marchio, “made in USA”. Almeno questo è l’atteggiamento diffuso nella massa. Ma chi non si lascia confondere da etichette e propaganda, giunge alla conclusione diametralmente opposta. Esclusi i prodotti tecnologici, per tutto il resto, e segnatamente per quanto riguarda l’assetto politico, sociale, morale, ecc., da certa America proviene solo spazzatura. Ma siccome il “bidone” è ben confezionato e sponsorizzato, dalle nostre parti tutto va a ruba.

A dire il vero, ancora non ho capito se gli estimatori nostrani di quei prodotti siano più ingenui, o disonesti interessati. Forse c’è l’una e l’altra specie: il salariato semianalfabeta che sogna di trovare nel liberalismo selvaggio l’opportunità di diventare un padroncino, scambiando così il proprio ruolo di sfruttato con quello di sfruttatore, e c’è la rumorosa claque di pseudointellettuali assoldati dai “negrieri” delle nostre parti.

È ormai da un decennio che nei dibattiti politici non si confrontano più i diversi argomenti: ci si limita ad accertare come fanno in America. Tutti fanno a gara per dimostrarsi filoamericani, fino al punto di gettare l’Italia nella mischia di una guerra finalizzata ad estendere l’egemonia anglosassone nei Paesi ex comunisti. E in questa dissennata avventura si pretendeva l’adesione di Rifondazione Comunista. Non era dunque colma la misura, dopo aver copiato e cinicamente realizzato le parti più odiose del programma di Berlusconi? Non erano dunque bastati i provvedimenti reazionari contro i diritti dei pensionati, dei pensionandi, dei lavoratori, dei disoccupati, delle casalinghe? Nè la svendita patrimoniale dello Stato ai famelici accaparratori liberisti?

Antonio Dovico

Capo d’Orlando 16-05-2009

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