E’ PIU’ LADRO LO STATO O IL CITTADINO?


Antonio Dovico – Non si può rispondere a bruciapelo alla domanda; occorre prima rifletterci a fondo Tuttavia, ci provo.
 
STATO: è un apparato su un territorio, sul quale è stanziato un popolo. Lo Stato legifera per regolare la sua stessa vita, e poi quella dei cittadini che amministra. Concentra in sé tutti i poteri civili, esclusi quelli religiosi, che sono (dovrebbero essere) di pertinenza della Chiesa. Lo stato può essere totalitario o democratico, come si definisce quello italiano. Nel sistema democratico, il popolo ha – anzi dovrebbe avere – parte preponderante nella formazione del Governo, in quanto elegge i membri del Parlamento che lo rappresenteranno. Ormai da anni questo non avviene; per credere, sfogliare i giornali in soffitta.
 
In teoria non ci può essere modo migliore per eleggere un Parlamento ideale, ma la realtà è molto diversa dalla teoria, perché un voto vale sempre “uno”, qualunque sia la maturità civile/democratica del votante. Oltre alla suddetta qualità, tante altre ne sono richieste per comporre un Parlamento efficiente e decoroso, dove alla necessaria competenza, deve accompagnarsi l’onestà, la moralità, l’assenza di sudditanza di qualsiasi genere, il senso dello Stato, quello religioso, e via cantando. Insomma. “Uno vale uno” è un criterio equo e valido per le bocche da sfamare, ma non da applicare nella scelta di chi deve governare. Forse che il caos politico/amministrativo dell’ultimo quarto di secolo non mi dà ragione? Per un accidente fortuito provocato dal Genio Renzi, nell’ultimo anno della defunta legislatura, abbiamo potuto constatare il significato di “efficienza operativa”, grazie alla capacità di Gentiloni nella gestione del Governo. – osservare bene – operativa non significa “qualitativa”,  cosa affatto diversa, questa.
 
Con meno sforzo di quanto temessi, eccomi affermare tranquillo che il fornaio (Gentiloni) anche se bravo e solerte, con quei campioni di democrazia che lo sostengono, non può sfornare il buon pane che vorrebbe, non può ricavare pane buono da cattiva farina. Fuori dalla metafora; sfornare cosiddetti “diritti civili”che contrastano con la natura umana con conseguenti riflessi sociali deleteri, non è azione lodevole ma deplorevole, in odio a Colui che ha progettato l’uomo a Sua immagine. Sulla base di questo esempio, vado a ragionare sul popolo disomogeneo, col quale si è preteso di fondare lo Stato Italiano.
 
Varie stirpi di popoli abitano sul territorio italiano. E’ storia viva ed è perdita di tempo rifarla retro-spettivamente, magari a partire  dall’unità d’Italia. Tutti sappiamo che l’Unità risulta dalla somma di comuni e staterelli che pre-esistevano su quello che oggi è territorio italiano. Circostanza sicuramente commendevole, e non biasimevole. Uno stato unitario conferisce adeguata dignità a chi ne è parte ma solo a prima vista, e più sotto il profilo della massa fisica, che del pregio intrinseco.
 
 Se è stato possibile fondere nel crogiuolo dell’unità terre e castelli, e anche rappresentanti del popolo di alto valore specifico, che potessero divenire nucleo fondante per un grande popolo, poteva essere solo una speranza e nulla più. Sembra difficile attribuire forza d’urto ad un popolo inerme ed ignorante, ma “misteriosamente”la massa, se incolta e refrattaria alle regole della correttezza democratica, è una resistenza invincibile che inchioda il cammino del progresso. Iattura facilmente prevedibile, immortalata nella celebre frase:“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani.” Che la sentenza appartenga a D’Azeglio, o ad un pecoraio con le cioce,  non cambia niente. Non cambia niente. Occhio alle notizie.
 
Se l’italiano all’anagrafe, non ha il senso d’appartenenza allo Stato, e crede lecito derubarlo, lo stato è costretto a rubare a sua volta. Questo articolo non può essere esaustivo sul problema esaminato, ma sarebbe un ottimo primo capitolo di un libro di là da venire.
 
Antonio Dovico – 8 gennaio 2018

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