Vincenzo Cannistrà, ovvero quando l’arte si costruisce da soli


Salvino Cavallaro – Fa parte della generazione dei sacrifici veri, di quel periodo storico in cui descrivere tante difficoltà di vivere non ti faceva cadere nella facile retorica letteraria. Vincenzo Cannistrà è uno che si è fatto da solo con l’ausilio del suo cervello fine, senza particolari corsi di aggiornamento o studi che possano significare la sua propensione per l’arte. Si tratti della sua attività principale della lavorazione del ferro (la cui azienda è nata nel 1982 per suo volere e con l’aiuto dei figli Giuseppe e Davide), si tratti del suo grande amore per la prosa, la recitazione e il palcoscenico, Vincenzo Cannistrà è l’emblema di un prodotto di qualità fatto in casa. A Milazzo, città in cui è nato e vive ormai da anni, tutti lo apprezzano per quel suo senso del sapere stare tra la sua gente con rispetto e alto senso sociale. Gli incontri sul Lungomare Garibaldi, una passeggiata ristoratrice fatta in bicicletta e poi un saluto agli amici che incontra per dare una pacca sulle spalle e sapere cosa si dice, cosa si fa. E’ un modo come un altro per manifestare la sua propensione alle relazioni sociali. Ma il teatro è il suo pallino da sempre. Una passione radicata nel tempo e capace di affinarsi attraverso continue prove con il gruppo di attori della sua compagnia dilettanti di Milazzo che comprende anche suo figlio Giuseppe, il quale rappresenta la vera continuità teatrale della famiglia Cannistrà. Adesso, come se non bastasse, papà Vincenzo ha intrapreso anche la strada della regia teatrale negli spettacoli che lo vedono già come attore consolidato negli anni. In questi giorni abbiamo avuto modo di assistere alla sua performance con la Compagnia Teatrale “Milazzo 2010” ne – “La Fortuna con la effe maiuscola” – una commedia brillante in tre atti, di Eduardo De Filippo e Armando Curcio. Ebbene, in quest’occasione più ancora che in altre, abbiamo avuto la conferma della crescita artistica di Cannistrà, il quale con grande capacità di interpretazione ha saputo entrare nel personaggio di Giovanni Campolo, sul cui testo originale di Eduardo De Filippo risulta essere un umile scrivano che stenta a sbarcare il lunario. Ma nell’evolversi della storia in cui emerge il cuore di Napoli ben trasferito da Cannistrà nella realtà di Milazzo, ci sono lunghi momenti di scenette divertenti che poi si tramutano in amare considerazioni di vita che creano emozione e provocano persino qualche lacrima. Ed è proprio in questo momento che si esalta la bravura di Cannistrà, il quale è capace di commuovere il pubblico attraverso un’interpretazione di grande livello. In fondo è la completezza dell’attore che fa la differenza per carisma personale e capacità di riempire la scena. E allora ti chiedi se è più facile fare ridere o piangere, essere attore brillante o impegnato. Non c’è una vera risposta, perché un bravo attore deve sapersi districare con abilità ai vari testi teatrali che si devono recitare. E Vincenzo Cannistrà, attore dilettante di lungo corso, in “La Fortuna con la effe maiuscola” ha saputo fare la differenza per aver creato con il suo pubblico quell’empatia che è alla base del successo di ogni spettacolo. Ottimo l’impegno dei vari attori della compagnia “Milazzo 2010”, con un plauso particolare a “Stefanino”, il quale è stato interpretato da Pippo Cannistrà. Insomma, un teatro di qualità il cui successo ripaga le lunghe ore passate a provare e riprovare sotto l’attenta regia di quel Vincenzo Cannistrà che abbiamo visto in forma smagliante.

 

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