SCONFITTA LA POVERTA’ ?


Antonio Dovico -Tempo fa il ministro Di Maio ha annunciato, trionfante, che il suo governo aveva sconfitto la povertà. Sognava ad occhi aperti, ignorando che la povertà è la forza dinamica che regge l’edificio della società umana; se non ci fosse, sarebbe come essere in un limbo, senza inferno ma neppure paradiso. Il mondo sarebbe statico. In nome dell’uguaglianza (generica e ipocrita) si sono scatenate rivoluzioni e si è sparso sangue, causato dall’ineliminabile istinto di invidia che rende infelice la nostra esistenza.

Ho definito forza dinamica la povertà, perché chi accetterebbe la fatica di lavorare la terra, di seppellire i morti, di fare lo spazzino, il minatore, e tanti altri lavori manuali pesanti e pericolosi, se non fosse costretto dal bisogno? Essere “tutti uguali” è desiderio dei più sfortunati, e non mancano sfaticati politicanti che soffiano sul fuoco delle rivendicazioni sociali, per trarne vantaggio elettorale personale, quando ricorre il caso. Chi aspira ad una carriera politica si fa amico degli ingenui, che lo voteranno per ottenere in cambio un comodo posto di lavoro. A questa prassi si può attribuire – senza tema di sbagliare -, la disastrosa condizione dell’ Italia attuale.

Paghiamo cari 70 anni di governo della tanto lodata democrazia parlamentare, subentrata alla decaduta dittatura fascista. Il voto del capo dei capi della malavita, vale quanto quello del capofamiglia onesto, rispettoso di tutte le leggi che regolano la Stato. Altro esempio, e mi taccio. Il voto del cittadino che vigila attentamente sulle mosse dei gestori della Cosa Pubblica, vale quanto quello del menefreghista che ti dice: “a te che te frega di quello che fanno gli altri, pensa agli affari tuoi! Dovrebbe essere chiaro che la democrazia non è il meglio del governo possibile, anche se sono i cittadini a scegliere i propri governanti. Platone era convinto che fosse un sistema corrotto, perché non sottoposto alla ragione, e quindi intaccato dalla retorica e dalla demagogia. Socrate, “il più giusto tra gli uomini”, era stato condannato a morte dalla Democrazia, e quattro secoli dopo, fu ancora il corale crucifige degli uomini a condannare a morte Gesù Cristo. Ma allora, chi potrebbe governare bene? La risposta ovvia sarebbe: Gesù Cristo, che fu Uomo e conosce in profondità le nostre debolezze e i nostri bisogni. Lo riconosco, sarebbe come parlare alle pietre; passiamo all’uomo comune. L’ideale sarebbe un monarca “umano”, oppure in alternativa un dittatore tipo Cincinnato, per esempio. Se ne è perso lo stampo? Certamente no, se si cerca si trova. Ma, restringendo il discorso alla democrazia italiana, dico che essa aveva iniziato bene, per merito di uomini di grande spessore morale, civile e culturale: chi vuole conoscerne i nomi e le virtù, ci sono i mezzi per apprendere senza troppa fatica chi furono i membri della Costituente. Tutti galantuomini patrioti competenti nelle varie discipline essenziali per ben governare. Li guidava l’Amor Patrio, e non l’amor proprio, il che è tutto dire.

Espletati i passaggi necessari, si varò il primo governo guidato da De Gasperi, e per l’Italia fu l’inizio della rinascita. Tutto bene finché l’Amor Patrio non perse vigore a vantaggio dell’amor proprio. Nella “fauna” politica dell’inizio, un poco alla volta si introdussero squallidi avventurieri che trovavano linfa per emergere in un elettorato di bassa condizione morale-culturale, il cui unico interesse era concentrato tutto sulla propria persona, e al diavolo lo Stato e le sue leggi. Simile esemplare umano, cercava un posto che gli assicurasse il benessere economico. Il candidato Caio glielo prometteva, e allora votiamolo tutta la famiglia. Fu il trionfo della raccomandazione. A questa parola corrisponde una prassi altamente tossica che avvelena la moralità di chi se ne avvantaggia e, di passaggio in passaggio, arriviamo alla società intera, esclusi i cittadini probi che rimangono gli unici danneggiati. In onore della verità, debbo riconoscere che il fenomeno, ad iniziare dal nuovo millennio, si attenua lasciando prevedere una definitiva estinzione. Gli effetti negativi, però, sono tuttora (senza che si possa prevedere quanto dureranno) attivi, e condizionano la salute dell’economia della nazione. Figlio della raccomandazione è il clientelismo politico, il morbo sociale che si manifestò con assunzioni di personale eccedente in piccole e grandi aziende pubbliche. Si pensi ad Alitalia, alle Ferrovie, alle Poste alle Banche, alla Sanità ultragenerosa verso i cittadini, ma non solo. Un debito pubblico che supera i due mila miliardi di euro, è una palla al piede della quale è urgentissimo liberarsi. Se non si comprende che la riduzione del debito deve essere prioritaria su tutto, si moltiplica sistematicamente la povertà, altro che sconfiggerla.

23 – febbraio — 2019

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