Don Andrea: “Se dovessi fare un’intervista a Dio? Gli chiederei perché……”


Foto: Don Andrea Zani.

                                                                                           SALVINOCAVALLARORUBRICANUOVA Rubrica “Incontri”

                                                                                               A Cura di salvino Cavallaro

L’ho incontrato Don Andrea Zani. Questo giovane sacerdote che fin da quando l’ho conosciuto mi ha ispirato momenti di curiosità che rientrano in una sfera di pensiero filosofico – religioso, capace di riflettersi su tante domande che nascono spontanee in noi cattolici cristiani. Già, proprio noi che viviamo le nostre fragilità in un mondo che spesso non aiuta a migliorarci, anzi, direi proprio che ci peggiora. E allora pensi a Dio, pensi a qualcosa di soprannaturale che attraverso la fede e la preghiera possa in qualche modo illuminarti e seguire il percorso della tua vita con maggior senso di fiducia e positività. Così, con Don Andrea ho voluto toccare anche tematiche che riguardano la Chiesa nella sua complessità di antichi problemi etico religiosi che Papa Francesco sta cercando di migliorare, anche contro l’opposizione di certi rappresentanti della Chiesa stessa. Ecco cari lettori di “Incontri”, penso proprio che questa intervista fatta a Don Andrea Zani possa in qualche modo interessare molti di voi per tanti motivi. Non vi nascondo che nel preparare le domande che poi avrei fatto al mio interlocutore, spesso ho cercato di interpretare cosa avreste voluto chiedere voi al posto mio. Non so se ci sono riuscito, ma sappiate che questo è sempre stato il mio modo di interpretare il giornalismo, nell’intento di fare informazione corretta con il desiderio di lasciare traccia di vita vissuta ai lettori. Buona lettura amici.

Don Andrea, è così banale chiedere a un sacerdote chi è Dio?

Rispondo con le stesse parole di San Giovanni nella sua lettera: “Dio è amore”. Nell’antico testamento questo aspetto dell’amore di Dio magari sembra apparire un po’ meno, perché è più preponderante l’immagine di un Dio difensore, un Dio da temere. Però ci sono tanti passi nell’antico testamento, in cui si parla di un Dio Pastore e misericordioso. Poi Gesù ci viene a far conoscere un Dio che è completamente amore infinito”.

Come nasce la tua vocazione al sacerdozio?

La mia vocazione al sacerdozio nasce molto presto. Sono entrato in Seminario all’età di 14 anni. Ricordo che ero un ragazzino di terza media e stavo pensando che scuola fare per proseguire gli studi. Così ho deciso di iscrivermi al Liceo Scientifico e avrei dovuto cominciare a frequentare la prima superiore. Intanto, il sacerdote che era alla guida dell’oratorio dove andavo sempre a giocare, un giorno mi disse: “Andrea, hai mai pensato di diventare Prete?” “No, risposi. Non ci ho mai pensato”. Dopo un po’ di tempo questo sacerdote, il cui nome è Don Roberto Guardini, è ritornato alla carica proponendomi di andare con lui in Seminario per assistere ad un incontro con ragazzi della mia età. Ebbene, ricordo che fui felice di quell’incontro, continuai ad andare anche altre volte e a un certo punto decisi di entrare in Seminario. Così frequentai il Liceo Classico e poi gli anni di Teologia che mi hanno permesso di diventare prete a 25 anni. Certo, a 14 anni non potevo avere le idee chiare su cosa significasse diventare sacerdote, tuttavia, negli anni in cui sono stato in Seminario ho molto riflettuto, ho cercato di capire tante cose, ho fatto il mio discernimento e alla fine ho scoperto che quella sarebbe stata la strada giusta per me e per la mia vita.”

Cosa pensi della crisi delle vocazioni?

Penso che tutta la Comunità Cristiana, e non solo noi preti, abbiamo bisogno di rendere più forte la Testimonianza del Vangelo, perché i giovani vedano la bellezza di dedicare la vita al Vangelo stesso. Di rispondere ad una vocazione, di cercare il proprio posto nel mondo alla luce del Vangelo. Penso che su questo tema abbiamo bisogno tutti di crescere molto.”

Da Brescia, tua città natale, a Torino. Due città fondamentalmente diverse per cultura e modus vivendi. Inizialmente hai avuto qualche momento di difficoltà nell’inserirti nella realtà torinese?

Ricordo che all’inizio, andando per le strade di Rivoli, non conoscevo nessuno e di conseguenza nessuno mi salutava. Io ero abituato nel piccolo paese dove mi trovavo ad essere salutato da tutti, a fermarmi lungo la strada, proprio come avviene in un piccolo centro. Poi, dopo un po’ di tempo, ho imparato a farmi conoscere e riconoscere dalle persone anche lungo le strade.”

Dopo essere stato Parroco della Chiesa San Bernardo Abate di Rivoli, da circa due anni sei Parroco della Chiesa SS. Nome di Maria e di Sant’Ignazio di Loyola. Come stai vivendo questa nuova esperienza?

In realtà sto ancora cercando i giusti equilibri per dire cosa significa per me essere Parroco di due Parrocchie. Quindi, non solo riferimento per una, ma per due. E’ una riflessione che non sto facendo soltanto io, ma anche le Comunità stesse stanno cercando di capire cosa significa avere un Parroco che è un po’ qua e un po’ là. Anche perché le due Parrocchie vengono da un’esperienza diversa, visto che precedentemente ognuna aveva una sua guida e quindi un suo Parroco. Ma adesso che le cose sono cambiate, insieme stiamo cercando di crescere, ed io in particolare sto cercando di imparare come essere guida per entrambe le Comunità. Tante volte corro e mi divido tra la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola e SS. Nome di Maria, ma devo dire che sono assolutamente contento di essere al servizio di queste Comunità.”

Questo affannoso andirivieni, non riduce a celebrare l’Eucarestia in maniera meccanica?

Effettivamente, il rischio per me è quello di ridurre la celebrazione dell’Eucarestia a una cosa meramente meccanica. In fondo è come andare in palestra, fare un esercizio e ripeterlo durante la giornata. Ma lo sforzo è quello di sperimentare la gioia di celebrare l’Eucarestia con la mia Comunità. Ecco, questo pensiero fa in modo che quello che sto facendo non è una semplice ripetizione di parole, ma è una condivisione e sono felice di potere celebrare l’Eucarestia con la mia Comunità. Questo pensiero che è mio desiderio, mi aiuta a non essere un ripetitore meccanico.”

Chi ti conosce, Don Andrea, sa che sei molto esigente ed attento all’apporto concreto della tua Comunità, nel coinvolgerla in tutte le iniziative parrocchiali. Un aiuto del quale non puoi farne a meno. E’ vero?

Sì, il pensiero per me è questo. Io non sono prete da solo, sono prete con una Comunità. Quindi io vivo il mio essere prete perché vivo in comunione con le persone. Non posso concepire un mio servizio da prete, senza essere legato e coinvolto con le persone della mia Comunità.”

Da cosa nasce la tua buona abitudine di accogliere tutte le domeniche i fedeli davanti alla porta della Chiesa?

E’ un’abitudine che nasce nel periodo in cui sono stato parroco nella Chiesa di San Bernardo a Rivoli. Lì ho cominciato a pensare che potesse essere una cosa buona per me, perché mi aiuta a guardare nel volto ogni singola persona che si affaccia alla porta della Chiesa per venire a Messa. Questo mi fa bene, perché imparo a conoscere le persone. Ogni tanto può pure succedere che io mi fermi a scambiare due chiacchiere e rafforzare la relazione con la gente. Sai, questo mi aiuta a celebrare l’Eucarestia e renderla meno anonima, perché parlo con le persone concrete che sto imparando a conoscere e amare. E poi ho visto che questa azione fa bene anche alle persone che vengono a Messa.”

L’esposizione delle omelie, iniziano sempre con il tuo rivolgerti ai bambini per poi entrare nell’anima e nel cuore degli adulti. Perché?

Parto dal presupposto che se i bambini capiscono quello che sto dicendo, lo capiscono anche gli adulti. Quindi parto volentieri dai bambini perché questo mi aiuta a semplificare l’esposizione dei pensieri che ho in testa, in maniera tale che possano essere compresi da tutti. Sono convinto che anche i concetti e le verità più importanti della nostra Fede e del nostro Credo, possano essere compresi dai bambini se sono esposti in maniera semplice.”

Don Andrea, perché oggi abbiamo così paura dell’altro e diffidiamo del nostro prossimo?

Perché abbiamo paura che l’altro ci porti via qualcosa di noi stessi, o forse perché abbiamo paura di non essere amati e accolti per quello che siamo. Così temiamo di accogliere l’altro per quello che è. Ma alla base di tutto c’è forse la fatica di fare quel passaggio di Fede che per noi cristiani è fondamentale, e cioè vedere nell’altro la presenza di Cristo. Se imparassimo a guardare l’altro e vedere in lui il volto di Cristo, di cosa dovremmo avere paura?”

L’accoglienza, nodo sociale del nostro tempo. Come vive la Chiesa questo enorme problema capace di toccare le coscienze di ognuno di noi?

Mi sembra che Papa Francesco insista molto su questo tema, in cui tutta la Chiesa Cristiana sia una comunità accogliente. Il nostro vescovo Cesare Nosiglia ha dato da sempre il buon esempio nell’accogliere in casa sua intere famiglie di profughi, predisponendo alcuni spazi del Vescovado e affidando quest’accoglienza al Sermig. E non solo, perché il nostro vescovo Cesare ha sensibilizzato tutte le Comunità a seguire questo esempio ed accogliere chi si trova in difficoltà. Ma credo che per noi Cattolici Cristiani sia un modo per seguire il Vangelo, al netto di quelle che sono le questioni politiche. Certo, l’Italia per accogliere i migranti ha bisogno di organizzarsi bene e di sciogliere alcuni nodi. Tuttavia, è una fatica che possiamo fare non solo come comunità cristiana ma anche come popolo italiano. Con l’impegno, possiamo farcela.”

Don Andrea, perché è così difficile vedere il mondo con allegria e spensieratezza, così come ci hanno consigliato di fare Sant’Ignazio di Loyola e Don Bosco?

Certo, non è facile, perché ci sono tante situazioni faticose nella nostra vita. Sarebbe banale e illusorio che noi in ogni momento della vita si possa ridere. Tuttavia, sono assolutamente sicuro che in ogni situazione, anche la più faticosa della nostra vita, si possa imparare a guardare con positività noi stessi, gli altri e il mondo intero. Se noi impariamo a guardare le cose di tutti i giorni dal punto di vista di Dio, non possiamo non imparare a sorridere in ogni situazione della vita.”

Papa Francesco dice che la Chiesa non può essere neutrale e deve prendere posizione su tematiche che hanno bisogno di essere discusse e magari risolte. E allora perché la Chiesa stessa lo attacca?

Qui emerge la fragilità dell’essere umano come individuo e Comunità. Siamo fragili e dentro le tante fragilità che viviamo, a volte emerge la rabbia, il risentimento, l’invidia, emerge la non comprensione delle cose che divide. Purtroppo sta avvenendo che dentro la Chiesa Cattolica molti non condividano il modo di procedere di Papa Francesco. Forse questo fa emergere ancora di più il fatto che Papa Francesco stia cercando una certa autenticità della Chiesa, affinché impari a vivere il Vangelo.”

La pedofilia nella Chiesa. Uno scandalo che per anni è stato sommerso e considerato un tabù da nascondere. Anche in questo senso Papa Francesco sta faticando per costruire una Chiesa migliore.

Dobbiamo riconoscere che già Papa Benedetto XVI, riguardo la questione della pedofilia in alcuni ambienti ecclesiastici, aveva dato un contributo molto fermo. Egli, infatti, aveva fatto delle leggi particolarmente ferree rispetto a questo problema. Oggi Papa Francesco sta portando avanti le scelte precedenti con maggiore fermezza. Personalmente sono assolutamente convinto che su questo argomento bisogna essere molto determinati. Credo che Papa Francesco e chi come lui sta valutando tutte queste problematiche, faccia bene a portare avanti una linea che sia in continuità con la giustizia di ogni singolo Stato, senza alcuna copertura di nessuno per quanto riguarda i reati di questo tipo.”

Che idea ti sei fatto sul Sinodo per l’Amazzonia che prevede grandi novità?

Per quel che ne so io, il Sinodo dell’Amazzonia ha aperto delle riflessioni. In questo momento non c’è nulla di deciso, diciamo che si sono aperte delle idee che emergono da una determinata terra e porzione di Chiesa che verranno sicuramente discusse. Sul fatto che alcuni preti della Chiesa Cattolica si possano sposare, dico che già avviene. Infatti, i preti della Chiesa Cattolica di rito greco orientale già si sposano, e quindi non rappresentano una novità. Certo, la Chiesa di rito occidentale, e cioè quella che abbiamo noi, da tanti secoli vive il celibato come una tradizione molto forte. Già in precedenza si è parlato più volte di questo argomento, tuttavia, ritengo che se si dovesse arrivare a dire che alcune persone già sposate possano essere ordinate presbiteri, per una data porzione di Chiesa e per eventuali servizi specifici che possono svolgere tenendo conto della loro situazione famigliare e delle diverse esigenze ecclesiali, penso che possa essere utile per la Chiesa stessa senza far venir meno il valore del celibato. Dunque, sostengo che il celibato per i presbiteri abbia un enorme valore, e il fatto che eventualmente ci siano dei presbiteri sposati, questo non toglie valore al celibato.”

Senti Don Andrea, tutti noi crediamo nell’inferno come castigo di Dio. Ma Dio, non è misericordia?

Dio è ricco di misericordia. Qui, Salvino, apri degli argomenti per i quali i teologi potrebbero discutere non una mattina, ma un anno intero. Una cosa certa è che Dio è misericordioso e vuole la salvezza di tutti. Dio non è un giudice e non castiga nessuno, di questo dobbiamo fare un po’ di pace interiore. Eventualmente siamo noi nella nostra libertà che ci escludiamo o rifiutiamo di godere dell’amore e della misericordia che di Dio ha preparato anche per noi. Il nostro inferno non è quello che eventualmente troveremo dopo la morte, ma è quello che troviamo già qui su questa terra. Sì, perché quando non amiamo, già siamo nell’inferno. “

Nella religione cristiana si parla della grande importanza della fede e della preghiera, tuttavia, la fragilità umana spesso è sfiduciata e si perde nella deriva della solitudine.

Oggi c’è molta solitudine. Sì, incontrando tante persone vedo molta solitudine e tristezza. Abbiamo bisogno di recuperare una dimensione di attenzione alla nostra interiorità. Al silenzio e alla solitudine dobbiamo accostarci in maniera costruttiva, affinché facciano bene all’anima e diventino strumenti buoni per leggere la propria interiorità, ascoltando Dio che parla dentro di noi e la nostra coscienza. La preghiera è innanzitutto un ascolto, infatti, il Cristiano prega mettendosi in silenzio per meglio ascoltare Dio. Tante volte facciamo fatica a metterci in silenzio, a stare fermi e collegarci con la nostra interiorità.”

Don Andrea, tu fai molto coraggio agli altri per tanti motivi. Ma in te c’è sempre questa forza di sdrammatizzare e vedere il presente e il futuro senza eccessiva preoccupazione?

Ecco, ti dico ciò che penso. Tutto ciò che io vivo, se è vissuto come strumento di Dio con amore e per amore, sono convinto che porti frutto di comunione, pace e speranza per il futuro. Quindi, la mia convinzione è cercare di far bene ciò che spetta a me oggi e di farlo nel miglior modo possibile. E sono sicuro che tutto ciò non vada perso, perché se non sarò io, qualcuno dopo di me raccoglierà i frutti di quello che io dono oggi.”

Se tu fossi un giornalista con l’incarico di fare un’ipotetica intervista a Dio, che domanda gli faresti?

E’ una bella domanda, questa. Cosa gli chiederei? Vediamo un po’. Gli chiederei perché a volte mi lascia fare così tanta fatica nel vivere pienamente la mia vita. Mi spiego meglio e riformulo la domanda: “Signore, perché lasci che io faccia tanta fatica a tirar fuori il meglio di me?”

Salvino Cavallaro

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