Medici allo specchio al tempo del coronavirus. Una rinnovata empatia ?


 – Foto avvocato Fabio Viglione –

                                                                                      Rubrica: “Il parere dell’avvocato Fabio Viglione”

In queste drammatiche giornate determinate dall’esplosione dell’emergenza pandemica, il personale sanitario è stato chiamato a svolgere un’attività che è andata ben oltre il mero impegno professionale. Medici in prima linea, impegnati senza sosta per salvare vite umane. Un’attività svolta con grande dedizione, in condizioni particolarmente difficili, spesso disperate. Combattendo al fianco dei pazienti una difficilissima battaglia, contro un nemico insidioso ed in gran parte sconosciuto, hanno dimostrato professionalità ed umanità elevatissime, diventando il simbolo più autentico di una resistenza del Paese contro un avversario pericoloso e invisibile. Tanti di loro, per portare a termine la nobile missione, sono caduti sul campo, vittime dello stesso virus combattuto vigorosamente al fianco dei pazienti. Il loro coraggio e lo spirito di abnegazione che li ha contraddistinti hanno rappresentato il raggio di luce capace di illuminare il buio angosciante che si è materializzato nei nostri territori ed ha fatto visita alle nostre famiglie. Alcune, purtroppo, colpite dal dolore della perdita dei propri cari e dalla preclusione coatta alla consuetudinaria solidarietà di quei momenti. In questi giorni ed in queste ore, tante storie, individuali e collettive, di medici ed infermieri impegnati nelle strutture ospedaliere stanno emergendo, per l’inevitabile esposizione mediatica degli avvenimenti. Raccontano di grande senso del dovere, coraggio ed altruismo, vocazione all’assistenza, massima professionalità. Senza dimenticare poi, che al grande impegno, alla centralità del loro ruolo, ed alla conseguente responsabilità per la delicatezza del compito, non corrispondono neanche particolari gratificazioni sul piano economico. Ed ecco che si avverte, in un momento così drammatico, un atteggiamento nuovo che, doverosamente, gli viene riservato. Ma guardandoci un po’ indietro, però, non possiamo esimerci dal constatare come proprio i medici, siano stati destinatari di critiche frequentemente prevenute e generalizzate. Troppe volte, anche nel mondo dell’informazione, si è fatto ricorso alla enfatizzazione di fatti di cronaca che, ben prima dell’accertamento giurisdizionale, i toni allarmistici e sensazionalistici rubricavano alla voce “malasanità”. Con buona pace della presunzione di non colpevolezza, e del discredito nei confronti del medico. Citato all’inizio della indagine ma spesso dimenticato al momento dell’esito del giudizio. E proprio a questo proposito, peraltro, non può essere dimenticato il numero elevatissimo delle denunce penali nei confronti di medici che per la gran parte finiscono per rivelarsi infondate. Anche perché, per provare la responsabilità del medico in sede penale non basta accertare un errore eventualmente commesso ma il rapporto diretto tra l’azione (o l’omissione) rimproverata e il decesso del paziente. Conseguentemente, quella diffusa aspettativa secondo la quale ogni evento infausto debba portare alla individuazione di un colpevole viene inevitabilmente frustrata. Sono contrario, per formazione, alle generalizzazioni ed alla difese di categorie. (Ogni situazione va esaminata singolarmente e vive di sue peculiarità). Credo però nella oggettività dei numeri e vivo la cultura della giurisdizione. Ebbene, i dati ci offrono percentuali elevatissime di denunce nei confronti dei medici che per grandissima parte si concludono con l’archiviazione del procedimento o, con l’assoluzione del sanitario. Ed anche quando si concludono con l’archiviazione i fatti vengono scrutinati con consulenze tecniche ed accertamenti approfonditi. Dunque, una riflessione si impone. Naturalmente, nessuno può negare vi siano casi nei quali gravi errori sanitari abbiamo determinato esiti sfavorevoli nei confronti dei pazienti ma certamente in numero molto più contenuto rispetto ai casi denunciati e, a mio avviso, in misura molto inferiore ad una generalizzata rappresentazione collettiva. In realtà, alcune iniziative sembrano scaturire più da scelte emotive e da un’idea secondo la quale il medico contragga un’obbligazione di risultato con il paziente. Ma così non è. Da tempo, si è inevitabilmente rotto qualcosa sul piano dell’affidamento nei confronti della cura e dei sanitari. E’ venuta meno quell’empatia che non può non caratterizzare un fecondo rapporto tra paziente e medico. Si finisce così per non sentirsi sullo stesso fronte ad affrontare la patologia. Quasi che medico e paziente siano due “controparti” già pronte a doversi fronteggiare in altra sede. Senza dimenticare poi, che l’assenza di serenità per i sanitari non è certo un fattore che determina il miglioramento delle prestazioni di assistenza. Tutt’altro, con il rischio che il medico sviluppi atteggiamenti più votati ad una difesa preventiva del proprio operato che ad una generosa assistenza, calibrata sulla specificità della cura e del paziente. Al netto poi del timore di aggressioni verbali e, talvolta fisiche, che possono registrarsi soprattutto per chi vive, quotidianamente, la difficile frontiera dei presidi di pronto soccorso.

Mi auguro che questo periodo di straordinaria emergenza in cui si è dato il doveroso risalto al coraggio ed alla encomiabile dedizione professionale di tantissimi medici possa contribuire a ridurre le distanze, a far venir meno quella contrapposizione, in parte psicologica, ricreando così le condizioni per l’instaurarsi di un più diffuso e virtuoso rapporto empatico. D’altronde sono convinto che una minore diffidenza nei confronti del loro agire possa esaltarne le qualità umane e professionali a tutto vantaggio di una migliore assistenza.

Fabio Viglione

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