Matteo Renzi e i “Mille giorni di te e di me”


Salvino Cavallaro –Io mi nascosi in te, poi ti ho nascosto da tutto e tutti per non farmi più trovare. E adesso che torniamo ognuno al proprio posto liberi finalmente e non saper che fare……” E’ il testo della canzone – Mille giorni di te e di me – scritta nel 1990 da Claudio Baglioni. Parole che sembrano scritte per Matteo Renzi nel giorno del suo commiato da quell’Italia da “rottamare”che avrebbe voluto cambiare e che invece ha finito per cambiare lui. Il premier ammette la pesante sconfitta subita al referendum costituzionale: “Abbiamo provato a cambiare il Paese,ma non siamo riusciti a convincere i nostri concittadini. Mi assumo tutte le responsabilità della sconfitta”. Parole cariche di amarezza per quello che avrebbe potuto essere e non è stato, grazie anche all’eccessiva esuberanza con la quale questo ex sindaco della città di Firenze si è presentato ad un Paese ancora troppo tradizionale e poco avvezzo ai cambiamenti repentini. E poi, questo volersi mettere contro le vecchie figure che hanno fatto la storia della sinistra italiana, ha giocato a suo sfavore soprattutto in considerazione del fatto che con troppo impulso ha promesso miglioramenti e cambi repentini, che invece si sono dimostrati fatui. In primis l’alto tasso di disoccupazione che ha portato il nostro Paese a essere tra i portabandiera europei di un primato assolutamente negativo. Per questo e per tanti altri motivi si è creato un sentimento trasversale di antirenzismo che ha cementato destra e grillini, sindacati, insegnanti e anche una larga parte del PD. Insomma, pochi amici e tanti, troppi nemici. Ma Renzi, incurante di tutto ciò, ha voluto andare dritto per la sua strada, con la fretta di chi non ha tempo per aspettare mani in mano che le cose cambino in maniera lenta, flemmatica. Eppure non si spiegherebbe in maniera diversa una così netta sconfitta al referendum che ha detto un chiaro NO quasi collettivo, alla richiesta di cambiamento di alcuni punti della Costituzione. Mai nessun Governo era riuscito a fare tante riforme in così poco tempo, segno di una fretta affannosa, maniacale, che sarebbe stata apprezzabile qualora avesse apportato dei miglioramenti. La stessa fretta con cui Renzi si presentò per fare le riforme, dando una forte spallata a Enrico Letta, il cui Governo lo ha preceduto. Jobs Act e la legge che avrebbe dovuto rivoluzionare il mondo del lavoro, la buona scuola e la fretta dei colloqui con i sindacati che avevano il sapore di “prendere o lasciare”. “Ce ne faremo una ragione” era solito dire, mentre le spaccature diventavano sempre più insanabili. E adesso salirà al Quirinale per ufficializzare le dimissioni annunciate ieri notte, subito dopo lo spoglio delle schede elettorali. Adesso la palla passa al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale deciderà attentamente il da farsi. Al momento non è possibile sapere quali scenari potranno aprirsi, ma c’è un dato inconfutabile in questa nostra politica italiana fatta sempre più di populismo, demagogia e lotte di Potere: la confusione. E in mezzo ci siamo tutti noi.

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