Debora Caprioglio, “ Recitare è un lavoro che s’impara sul campo”


  • Foto di Edo Covone –

Salvino Cavallaro – Il tempo è passato velocemente, eppure Debora Caprioglio resta sempre l’emblema della bellezza con l’aggiunta di una bravura professionale che è lievitata anno dopo anno. Loquace, attenta al dialogo, gentile nel prestarsi con interesse e curiosità all’intervista, Debora Caprioglio ritorna al suo passato di attrice cinematografica, con la consapevolezza di aver vissuto un periodo storico della sua vita professionale e privata che ancora oggi rifarebbe volentieri. Attorno a lei tanti maestri del cinema hanno creato il personaggio femminile che, grazie alla sua bellezza e alle sinuose forme naturali, rappresentava il desiderio che è insito nell’immaginario collettivo maschile. E lei, ancora oggi, quell’esperienza la considera come un’importante palestra di vita professionale, capace di farla maturare e diventare una brava attrice di teatro. L’abbiamo incontrata al Teatro Alfieri di Torino, dove è impegnata a recitare la commedia “Alla faccia vostra” con Gianfranco Jannuzzo. Con lei abbiamo divagato sul suo passato e su un presente che rappresenta la garanzia di successo in teatro. Sentiamola dunque attraverso le sue parole.

Debora Caprioglio, pensando ai tuoi esordi teatrali, nessuno avrebbe mai scommesso che saresti diventata un’ottima attrice di teatro. Com’è maturata questa metamorfosi professionale?

Ho cominciato a fare cinema e dopo ho affrontato il teatro. Diciamo che ho avuto sempre grande rispetto per questa forma di spettacolo che è la prosa. In realtà, anche per il cinema ho avuto grande attrazione e rispetto, ma ho sempre pensato che il teatro sia un campo di battaglia dov’è molto difficile far credere quello che non si è. Quindi, il pubblico ha la possibilità di giudicare in ogni secondo l’artista, capirne le qualità e quello che può dare. Per questo motivo, io per diversi anni non mi sono sentita di fare questa prova. Poi, nel 1997 ho iniziato a lavorare con Mario Monicelli, ed è proprio qui che è nato l’amore per il contatto con il pubblico e il rapporto con i colleghi, capaci di farti sentire in famiglia. Lavori insieme a loro per parecchi mesi e condividi gioie e dolori della tournèe e dello spettacolo stesso. Così, anno dopo anno, si sono susseguiti dei vari progetti e delle offerte di lavoro sempre interessanti. Io ho sempre cercato di lavorare con artisti che facessero un po’ da maestri, anche perché sono convinta che questo è un mestiere che si impara a bottega, così come facevano i pittori con i loro allievi. Ragione di più per me che non ho fatto l’Accademia, ma mi sono sempre aggiornata attraverso stage e scuole di recitazione”.

Mario Scaccia, Franco Branciaroli, Mariano Rigillo, Gianfranco Jannuzzo, tutti grandi attori del teatro italiano. Che cosa ti hanno insegnato?

Diciamo subito che recitare è un lavoro che s’impara molto sul campo, e quindi osservare è fondamentale per “rubare” questo mestiere. Poi l’umiltà fa la sua grande parte, pensando che il lavoro dell’attore in teatro è qualcosa di costante, di continuo, dove ogni giorno ci si fa le ossa. E’ un po’ come andare in palestra con il desiderio di curare il proprio fisico e farlo diventare più armonioso. Ecco, direi proprio che questa metafora si addica molto al teatro, dove si scoprono sempre nuove cose, si affina l’arte, la tecnica della recitazione, il sentire il pubblico e tante altre piccole grandi cose che costituiscono il senso di stare sul palcoscenico. Mario Scaccia è stato il mio primo maestro. Con lui ho lavorato tanto ed ho imparato molto dalla sua scuola. A 86 anni aveva un modo particolare di approcciarsi ai giovani che lo seguivano proprio come un maestro. E poi Branciaroli, Rigillo e Jannuzzo con cui lavoriamo insieme già da tre anni. Insomma, l’amore per il teatro mi ha portato sempre a migliorarmi, anche attingendo da tutti questi grandi artisti il meglio delle loro caratteristiche”.

E’ vero che la tua bellezza, in alcuni casi della tua carriera professionale, è stata da intralcio nel dimostrare la tua reale bravura di attrice?

Io amo molto le sfide. Diciamo subito che la bellezza e l’armonia fisica sono l’attrazione primaria per una donna, ed è sempre più difficile dimostrare che la bravura in ciò che si fa sia pari e forse oltre l’esteriorità. E’ vero, devo dire che all’inizio della mia carriera ho puntato molto sulla mia fisicità, anche perché ho cominciato a fare cinema che avevo 18 anni, ed era molto difficile puntare soltanto sulla bravura. Come si dice, “nessuno nasce imparato”.

Da Tinto Brass e Paprika, a oggi. Cos’è cambiato in Debora Caprioglio dal punto di vista professionale e umano?

Da allora sono passati quasi trent’anni e anche se sono maturata, devo dire che la voglia di curiosità e di imparare è rimasta sempre la stessa. Esattamente come la mia ambizione di migliorare, di fare tante cose, di non fermarmi mai, perché è solo così che si dà un senso a ciò che si fa. In me non c’è mai stata una sorta di pigrizia, né la tentazione di adagiarmi sugli allori. Tuttavia, come donna ricordo ancora con piacere quell’esuberanza dei miei vent’anni ”.

Rifaresti ciò che hai fatto?

Senza alcun dubbio. Se dovessi tornare indietro, rifarei le stesse cose. E se ci fosse un’altra vita, magari farei, chissà……il pilota d’areo!”.

Debora, tu sei nata a Mestre. Cosa ricordi della tua infanzia?

Ricordo il mio liceo classico, i miei compagni di scuola, la vita spensierata, i Duran Duran, i paninari. Io sono di quell’epoca lì; quei meravigliosi e spensierati anni ‘80”.

Tu e Gianfranco Jannuzzo siete insieme in teatro da tre anni. C’è un perché?

C’è sempre un perché. Nulla avviene per caso. Se siamo insieme in teatro da tre anni, è perché si è creato tra di noi un grande feeling artistico – professionale e un’intesa che sul palcoscenico non è mai scontata. E, anche se sono sempre stata fortunata con gli attori con cui ho recitato nella mia vita professionale, non è detto che questo capirsi sul palcoscenico sia un fatto così ovvio. E’ un terno al lotto e non è detto che questo accada. Invece, con Gianfranco ci siamo trovati molto bene fin da subito. Tra noi c’è una grande intesa. La nostra è una squadra vincente e siamo molto amici. Quindi, perché non continuare a lavorare piacevolmente insieme? Noi facciamo un lavoro bellissimo e tutte le mattine ringraziamo Dio per poterlo fare. E poi, lavorare con una compagnia così piacevole e valida è davvero una fortuna. Ma cosa vogliamo di più dalla vita?”.

Se dovessi consigliare il pubblico a venire in teatro per assistere alla commedia “Alla Faccia Vostra”, cosa diresti?

Consiglierei di venirci a vedere, perché regaliamo due ore di assoluto divertimento. Con leggerezza ed eleganza, questo testo teatrale non solo fa divertire il pubblico ma dà anche un messaggio morale che alla fine dello spettacolo, attraverso un monologo, è ben spiegato da Gianfranco. Diciamo che si ride senza volgarità, (una cosa cui noi teniamo molto). Si tratta di una comicità basata su tempi teatrali serrati e perfetti, attraverso una recitazione elegante. Il nostro obiettivo? Quello di divertire il pubblico in un periodo storico della nostra vita sociale, capace di rattristarci piuttosto che farci distrarre piacevolmente”.

Debora, per finire. Visto che avete cominciato la vostra tournèe qui a Torino, cosa pensi del pubblico torinese?

Ho sempre pensato che Torino sia la città teatrale per eccellenza. Noi giriamo l’Italia in lungo e in largo, ma a Torino c’è la piacevolezza di andare a teatro. Lo dice anche lo slogan pubblicitario dello stesso teatro Alfieri, che mette in risalto la buona abitudine di andare a teatro. Ed è vero, perché il pubblico di Torino è competente, attento, generoso e premiante se apprezza la qualità dello spettacolo. Viceversa, se non gradisce la recitazione, lo fa capire. Penso che questo sia molto bello, perché è un segnale di serietà e competenza. Questo pubblico ha la capacità di farti sentire importante ed è capace di apprezzare la professionalità e il lavoro. Personalmente, ho instaurato un idem sentire con il pubblico torinese per essere venuta a recitare da tanti anni in questo teatro Alfieri, ma anche al teatro Erba e al Gobetti. In tutti questi anni si è creato un vicendevole affetto. E poi non è vero che il pubblico di Torino è freddo. Sono solo dicerie. Qui avverto molto calore”.

Salvino Cavallaro

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