Salvino Cavallaro – 1° maggio, una ricorrenza dal significato profondo che oggi ha smesso di dare messaggi di speranza. Gli indicatori dell’economia sono lievemente tornati in positivo, ma la disoccupazione è ancora troppo elevata e rappresenta la vera piaga della società contemporanea. Sono anni ormai che ci rifugiamo dietro il pensiero illusorio di Edoardiana memoria – “Ha da passà ‘a nuttata”- ma questa “nuttata”, emblema di oscurità non passa proprio mai. Il lavoro è la priorità di ogni cosa, il diritto di ogni essere umano che vuole costruire il proprio futuro. Ma questo non c’è e non ci sarà ancora per chissà quanto tempo. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della festa del 1° maggio, parla di “bassi tassi di occupazione che incidono sulla coesione del sistema e ostacolano il percorso di sviluppo sostenibile. Non si può accettare che i lavoratori attivi in Italia restino a percentuale bassa e che la disoccupazione giovanile raggiunga picchi così alti”. Con tutta la simpatia verso la figura del Presidente Mattarella che rispettiamo profondamente, dobbiamo dire che sono anni che ascoltiamo le stesse parole anche dai suoi predecessori, ma la sostanza di questo nostro Paese carico di insormontabili problemi di disoccupazione e non solo, lascia alquanto perplessi per un eventuale sollevamento di un’Italia più preparata e consona a risolvere i problemi politici, economici e sociali che sovrastano un quotidiano sempre più difficile da vivere. E mentre il Capo dello Stato lancia alto il grido di allarme per una crisi che rischia di contagiare le Istituzioni, i leader sindacali Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, hanno aperto le celebrazioni del 1° maggio con la deposizione di una corona al cimitero di Piana degli Albanesi in provincia di Palermo, dove sono sepolte le vittime dell’eccidio di Portella della Ginestra nei 70 anni dalla strage. E intanto a Torino si registrano tensioni tra manifestanti e Forze dell’Ordine che hanno impedito a una cinquantina di manifestanti dei centri sociali, l’accesso a Piazza San Carlo dove sono previsti i comizi ufficiali dei sindacati. Altra tirata d’orecchi al Governo arriva da Susanna Camusso che afferma: “Questa giornata serve a rimettere in cima ad ogni cosa il lavoro e la dignità delle persone, sottolineando che ben poco si fa per creare lavoro e prospettive per i giovani”. Tutti lo sanno, lo ripetono, lo vivono a proprie spese e sulla propria pelle, ma nulla cambia in questa immensa costellazione fatta di effimero populismo e demagogici discorsi che sanno di egoistici arrivismi personali, piuttosto che di sforzi reali a beneficio della collettività. E così i nostri giovani vanno all’estero, acculturati come sono dal raggiungimento di una o più lauree che non danno alcuna prospettiva di lavoro in terra italiana. Una situazione che angoscia e che non ci consente di vivere il 1° maggio così come dovrebbe essere dall’alto del suo significato più profondo e con meno esteriorità possibile. Ma quanto tempo ci vorrà ancora per potere significare un’Italia capace, organizzata, attenta ai bisogni della sua popolazione giovanile che chiede il sacrosanto diritto al lavoro. Basta con le facili illusioni, si aiuti a detassare le aziende nel tentativo di rinvigorire la produzione incentivando quelle assunzioni che oggi sono solo di facciata e nulla più. Se mai un giorno si arriverà a questo, allora potremmo davvero dire che la Festa del Lavoro non sarà più la celebrazione di un qualcosa che non c’è, ma di ciò che realmente è stato restituito dopo essere stato tolto ingiustamente.