La menzogna in bocca al medico non salva, ma uccide. Per una persona che sta morendo per fame, è prioritario sentirsi promettere del pane per rinvigorirsi, e non delle cure per la crescita.
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Sentir pronunziare la parola “crescita” dai politici in genere, e dagli uomini pubblici che ad essi fanno eco acriticamente, mi procura l’orticaria. Possibile che chi prospetta la crescita dell’Italia lo pensi davvero? O mente vilmente per ingannare gli ingenui? Questa pratica era agevole in passato, quando la crisi che oggi si manifesta, poteva essere occultata usando una diabolica dialettica politica capace di offuscare le intelligenze, onde trarne disonesto profitto. Il gioco era facile, finché le alchimie finanziarie dei governi, imitate di buon grado da famiglie ignare che prima o poi l’oste avrebbe presentato il conto, non avevano raggiunto la cima. L’abitudine a consumare al disopra delle proprie capacità economiche, illudeva il popolo che la pacchia sarebbe durata all’infinito. La realtà che abbiamo sotto gli occhi è una mazzata mortale, per questa illusione. Potrà durare ancora?
Niente profezie: lasciamo che parlino i fatti del prossimo futuro. È l’ analisi della promessa e sperata crescita che mi stimola a scrivere. È onesto prospettare la crescita nelle condizioni in cui siamo? Ed è ragionevole sperare che si realizzi?
Un ragionamento concreto esclude entrambe le ipotesi. Per assicurare benessere duraturo, un’economia ha bisogno di due basi fondamentali: la produzione di beni, e i consumatori che li acquistano. I due fattori menzionati, operando in sinergia, e tramite lo scambio, generano ricchezza duratura, e non aleatoria. Un esempio: i cento chili di pane prodotti dal fornaio diventano ricchezza per lui solo quando ci sono bocche sufficienti che mangiano pane, altrimenti, rimanendo invenduti, producono, nel tempo, il fallimento del fornaio. Mi pare chiaro, che quanto detto per il pane, vale per qualsiasi altro settore, alimentare o voluttuario che sia. Ne risulta che se non c’è domanda, la produzione da sola non solo non è ricchezza, ma addirittura sperpero di una delle due componenti della stessa. Quanto scrivo non l’ho appreso frequentando qualche prestigiosa Università, ma vivendo di persona esperienze pratiche di vita, che non sono astruse teorie, ma realtà di fatti incontrovertibili che si incontrano nel mondo del lavoro.
Altra “preziosa” esperienza, l’economia appresa in quella impareggiabile UNIVERSITA DELLA VITA, che è stata la famiglia numerosa all’antica, nella quale ero secondo di otto figli. Qui ho conosciuto la spietata signora Economia. Una che non si commuoveva neppure per i nostri piedi nudi. E neppure si lasciava raggirare. Guai a prendere soldi agli interessi per comprare le scarpette a tutti. Dentro il debito c’é un lievito che trasformerebbe un topolino in un elefante. L’idea la rende benissimo il sempre crescente debito pubblico italiano. È realistico pronosticare la crescita italiana, con l’enorme numero di miliardi (intorno a 80) di interessi annuali che debbono essere racimolati (fossero in cassa sarebbe niente) spremendo milioni di contribuenti allo stremo della resistenza? La crescita economica presuppone la parallela crescita del numero di consumatori che dispongano di “denaro contante” per poter acquistare i prodotti che sfornerebbero le aziende private, perché solo queste producono “vera sostanza che alimenta”, e solo le medesime assicurano lavoro nutriente per l’economia in generale. Aggiungo per buona misura, che nessuno meglio dell’imprenditoria privata stimola l’intelligenza alla ricerca di prodotti nuovi da offrire al consumo, prodotti che proprio per essere nuovi, non soffrono per un certo periodo la concorrenza, permettendo una tregua salutare in questo tremendo, logorante campo di battaglia.
Un governo che conoscesse le tematiche del lavoro, sicuramente non lo penalizzerebbe con leggi che soffocano l’iniziativa privata, imponendo pesi insopportabili di per sé, con l’aggravante di una burocrazia assurda e cafona, che sottrae tempo ed energia a chi moltiplica le ore di lavoro, rubandole al sonno.
Personalmente sono stato artigiano, e parlo con cognizione di causa. Spesso mi capita di leggere notizie trionfali sul cospicuo numero di nuove imprese che si iscrivono alla Camera di Commercio. Ma quante sono quelle che falliscono? Illusioni a buon mercato! Piango per i malcapitati. I più fortunati (pochi) e preparati, continueranno, ma per la maggioranza basterà un anno per trovarsi inguaiati con la rogna dell’Inps (non racconto la mia storia), con l’Inail, con la Camera di Commercio (taccio anche qui), e tutto il resto che sperimentano i “Martiri del Lavoro”, e, dulcis in fundo, con qualche dipendente vigliacco.
Se la Sorte burlona mi issasse a Dittatore d’Italia, saprei io come guarire e poi far crescere “sana” l’economia Italiana. Primo: non dissanguerei milioni di persone che vivono a stento di modeste pensioni, o di redditi al limite della sopravvivenza. Ho già detto che i consumatori sono elemento fondamentale indispensabile, perché qualsiasi prodotto, naturale o manufatto, si trasformi in ricchezza. Darei la caccia al denaro sterminato che miopi pitocchi insaziabili, occultano in banche e in paradisi fiscali. Denaro espresso con cifre da capogiro, buone solo per saziare (ma la saziano?) la cupidigia delle sanguisughe del popolo. Denaro che figlia altro denaro, ma a causa della sproporzionata quantità, “inutile” a soddisfare appetiti di beni, materiali o mentali, già abbondantemente appagati e placati da tempo. Svuotati i forzieri che custodiscono quello che qualcuno chiama appropriatamente “sterco del diavolo”, convertirei questa schifezza in moneta pulita, trasferendola nelle casse dello Stato, per ripianare il debito pubblico. Non trascurerei di dare una livellata agli ingiusti e vergognosi guadagni dei fortunati, con quelli degli sfortunati. Qualora non bastasse, chiederei con forza a tutti quelli che per imperizia, disonestà, o vantaggio elettorale personale – detenendo il potere – hanno affossato lo Stato, di rifonderlo, con gli interessi, del danno inflittogli. Non ci sarebbe niente di prevaricante nella retroattività, se è vero che non è prevaricante il ricorso che vi hanno fatto gli ultimi due governi, uno per continuare a s-governare, e l’altro per ri-spremere il solito noto contribuente debole, lasciando in pace chi ha il potere e la furbizia di nascondere montagne di denaro, certamente non sudato.
Uno Stato risanato potrebbe essere più sereno verso chi tenta l’impresa personale, non la strozzerebbe prima di mettersi in carne, ma le concederebbe tre anni di franchigia da tutti gli oneri da cui è gravata, con le soffocanti normative attuali. In condizioni agevoli, la pianta del lavoro crescerebbe vigorosa e fruttifera, a beneficio di tutti.
Non è tutto: quanto ho scritto, è solo un saggio di quel che si “dovrebbe” fare se si sa, e si vuole veramente “risollevare” l’economia italiana. Attenti al verbo virgolettato: “Risollevare”. Sarebbe già un mezzo miracolo. La tanto strombazzata crescita dimentichiamola. Non lasciamoci ingannare.
Antonio Dovico
25 maggio 2012
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