Italia, paese di vecchi


Salvino Cavallaro – E’ inquietante leggere le rilevazioni dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che mette in rilievo la crescita delle disuguaglianze tra generazioni e un’Italia in cui i giovani sono sempre più poveri e senza lavoro. Ci piacerebbe vedere il futuro di questo nostro Paese con gli occhi dell’ottimismo, e a volte ci sforziamo di volgere lo sguardo verso la speranza che prima o poi qualcosa cambierà in meglio. Poi, a conti fatti, le statistiche massacrano la nostra già flebile speranza che questa Italia possa avere un futuro degno di tale nome. Si dice che nel 2050 saremo il terzo paese più anziano al mondo dopo Giappone e Spagna. Ora, con tutto il rispetto per gli anziani che restano pur sempre i fautori di un passato di onorato miglioramento storico produttivo di questa nostra Italia, dobbiamo pensare che il futuro è rappresentato dai giovani che, con questi annosi problemi di dissestato cammino occupazionale, non vediamo come si possa uscire da questo stato di cose a breve – lungo termine. Politiche sbagliate e retaggi di troppi anni di finto interesse al grave problema dell’occupazione giovanile, ci conducono in un trend di negatività economico – sociale che ci oscura al cospetto del mondo. Negli ultimi 30 anni i giovani italiani hanno perso sempre più terreno in termini economici, rispetto a quello che avevano raggiunto le generazioni più anziane e continuano ad avere difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro “serio”, ritrovandosi sempre più frequentemente a fare lavori occasionali per sbarcare il lunario. E’ l’Italia che non offre più nulla in termini di mercato del lavoro, mentre si abbassa sempre più il desiderio di fare studi universitari per raggiungere una laurea, che ormai da troppi anni non garantisce più la possibilità di trovare un lavoro. L’OCSE ha messo il dito su una piaga che per la nostra Italia sembra non rimarginarsi mai. Ed è per questo che i giovani emigrano in altri mondi che diano loro più possibilità di lavoro e quindi maggiori opportunità di costruirsi una futuro, una vita che possa realizzare il legittimo orgoglio di crescere professionalmente, ma anche umanamente. E qui chi resta? Restano gli anziani che la loro vita l’hanno già vissuta!

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