Antonio Dovico – 2 di 4
Recentemente Cosimo Ferrigno, che fu sindaco di Tusa per tre volte – in un arco di tempo discontinuo che va dal 1967 al 1983 – ha pubblicato un libro, intitolato “Cinquant’anni” , nel quale fa un racconto informato e di gradevole lettura sull’entrata in vigore, e la conseguente applicazione, della legge di Riforma Agraria, nel suo paese. Il dottor Ferrigno assomma all’esperienza politica quella di Dirigente E.S.A. – Ente Sviluppo Agricolo – e bene ha fatto a trasferire la sua esperienza nelle pagine di un libro, pubblicato alla soglia dei suoi 80 anni. Vi si legge dell’entusiasmo col quale i neoproprietari avevano avviato i lavori di bonifica dei terreni avuti. Racconta di un paese di montagna depresso, che con l’applicazione della Riforma, dal 1956 si avviò ad un progressivo miglioramento delle condizioni di vita, che durò per qualche decennio, e stupisce che inizialmente i politici siciliani di allora si fossero attivati per farla funzionare veramente, a beneficio delle classi meno abbienti: stupisce, perché è altro lo spettacolo che ci offrono gli sciatti politicanti attuali, in buona parte ladruncoli e ladroni, vere facce di bronzo che bivaccano nei centri di potere, col solo fine di ingrassare se stessi, nutrendosi alla ricca mangiatoia politica.
A Tusa erano partiti col piede giusto. Avevano fondato una Cooperativa che prevedeva la costruzione di un caseificio a carattere interzonale. Il latte da lavorare sarebbe stato conferito dai comuni interessati. Nel progetto era prevista anche la commercializzazione dei prodotti finiti.
“Ma l’opera, progettata e approvata dagli organi competenti, non venne finanziata dall’ex Cassa per il Mezzogiorno”, scrive il dottor Ferrigno. Non dà nessuna spiegazione del mancato finanziamento, ma qualunque sia stata la causa, non è azzardato affermare che il fallimento del progetto è stata una sventura, prima per la Sicilia, e, a proporzioni ingrandite, per l’Italia intera. Una domanda s’impone alla nostra mente. Perché, se il progetto sembrava funzionare, non ha avuto prosecuzione nel tempo?
Chi ne ha ostacolato il cammino e perché? Incompetenza dei responsabili, interesse decaduto da parte dei governanti, sabotaggio dalle diverse motivazioni, e quant’altro può essere ipotizzato?
Riporto un altro brano del libro menzionato. “In quel periodo, l’economia agricola del Comune migliorò, crebbe e risollevò di parecchio le condizioni economiche di tanti lavoratori agricoli. Purtroppo, ciò non durò a lungo perché, in seguito, sopravvenne la crisi dell’agricoltura, e molti assegnatari, prima cercarono lavori in altri settori, specialmente in quello edilizio, poi emigrarono e abbandonarono il proprio lotto, per il quale avevano tanto lottato”.
Fedele il rapporto del dottor Ferrigno: le cose andarono come dice lui. C’è stato un abbandono dell’agricoltura siciliana. Gravissimo peccato, avere abbandonato l’agricoltura per “interesse connesso” di qualcuno, oppure miopia imperdonabile da parte di chi, per malinteso spirito di modernità, desiderava che la Sicilia si liberasse dall’umiliante definizione di regione ad economia agricola. In tutta sincerità confesso, che, come cittadino di una Sicilia contadina, sentivo personalmente un certo complesso di inferiorità nei riguardi dei commilitoni delle regioni industrializzate, complesso giustificato dalla reale arretratezza del comparto agricolo rispetto a tutti gli altri settori dell’economia. La giovane età e il contesto storico di allora, stavano alla base del mio stato d’animo. Cresciuto in senno ed età, eccomi a sconfessare i miei sentimenti di superbia di allora.
Fatti tacere i sentimenti, è emersa la ragione. È umiliante coltivare la terra? Che sciocchi quelli che lo abbiamo pensato! Stare a contatto delle piante, vederle sbucare, germogliare, fare frutto, e sentirsi partecipi di un processo portentoso come quello che si osserva a contatto delle piante, ci fa sentire scolari della meravigliosa natura, raffina la nostra sensibilità, attiva la curiosità scientifica, e alimenta il nostro spirito! Strane parole le ultime tre: che attinenza c’è tra la terra e lo spirito? C’è, ma solo per chi ha occhi per vederla. Invece tutti abbiamo occhi e pancia per vedere e sentire la necessità dell’alimentazione del corpo. Argomento “forte” che mette tutti d’accordo. Ma, da dove viene il cibo che alimenta il corpo, non viene dalla madre terrà? Non è essa che nutre tutti, dal contadino al Capo dello Stato? Allora non abbandoniamola solo perché insufficiente a soddisfare capricci e vanità, i quali, “quando la pancia è piena”, reclamano soddisfazione. Curiamola, la terra, nel migliore dei modi: è nel nostro interesse.
Chi avesse riflettuto sulla importanza “vitale” della terra, avrebbe pensato che in tempi futuri, l’agricoltura avrebbe offerto un lavoro più redditizio, con l’introduzione della meccanizzazione. Meccanizzazione prevista, leggendo il libro di Ferrigno. All’epoca il macchinario agricolo si produceva nel nord Italia, ma considerata la vastità del territorio agricolo siciliano, non era prevedibile che l’isola fosse regione ideale e appetibile – anche alla luce della collocazione al centro del mediterraneo – per impiantarvi industrie specializzate nella costruzione di macchinario agricolo?
Sull’abbrivo, non era immaginabile un susseguente sviluppo industriale variegato che avrebbe dato occupazione ai contadini in esubero, rispetto alla necessità dell’agricoltura? Con i siciliani che avessero trovato impiego in Sicilia, si sarebbe creato lo squilibrio demografico con le relative ricadute su tanti altri settori socio-economico-politiche che oggi, con grande clamore, rivelano il disastro Italia?
Il mancato finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno, ha evidentemente interrotto il circuito virtuoso dello sviluppo di una sana economia di Tusa. Fatto casuale, oppure procurato?
Il lettore intelligente comprende che parlando di Tusa (comune nella provincia di Messina) si può leggere Sicilia. Mi si può rinfacciare pure la soggettività dello scritto, in assenza di pezze di appoggio concrete e certe, volendo sostenere una tesi complottistica – ma spesso a pensar male ci si azzecca – come bene ha insegnato il divo Giulio Andreotti.
Per chiarezza e comodità del lettore, riscrivo un brano del libro del dottor Ferrigno:
“In quel periodo, l’economia agricola del Comune migliorò, crebbe e risollevò di parecchio le condizioni economiche di tanti lavoratori agricoli. Purtroppo, ciò non durò a lungo perché, in seguito, sopravvenne la crisi dell’agricoltura, e molti assegnatari, prima cercarono lavori in altri settori, specialmente in quello edilizio, poi emigrarono e abbandonarono il proprio lotto, per il quale avevano tanto lottato”. (continua)