Lasciare il talento di Insigne in panchina? Un’assurda scelta


Salvino Cavallaro – Tra le tante incomprensibili malefatte del C.T. azzurro Gian Piero Ventura, c’è l’assoluto non ricordarsi dello spreco in panchina di Lorenzo Insigne. In una Nazionale già priva di talenti, dove c’è il rimpianto di non avere più i vari Pirlo, Del Piero, Totti, e dove gli esponenti della classe pura si contano ormai con poche dita, sarebbe stato interessante vedere in campo fin dall’inizio e possibilmente nella sua posizione di esterno sinistro, il piccolo napoletano che avrebbe dato sicuramente una sferzata di fantasia a un’Italia povera di inventiva e troppo banalmente scolastica nella ripetitività di un gioco, che gioco non è mai stato. Tutto ciò mette in risalto i limiti di Ventura, storicamente frenato da un calcio la cui filosofia resta ancorata alla praticità che si sviluppa senza tanti orpelli. Tutto ciò potrebbe pure essere vero ma ogni partita, ogni avversario di turno, ha bisogno di essere studiato in modo da carpire il metodo migliore per aggirarlo attraverso le sue fragilità tecnico – tattiche. Ebbene, contro la Svezia, squadra povera dal punto di vista tecnico e ricca di valori fisici e atletici, sarebbe stato opportuno aumentare la fantasia proprio attraverso quel talento chiamato Insigne che è rimasto in panchina, fatto scaldare e poi pregato di riaccomodarsi in panchina nonostante la fatica immane di creare gioco e gol da parte degli azzurri in campo. Queste non sono vedute soggettive, ma rientrano nell’ambito di una logica oggettiva di calcio giocato in cui, contro avversari così possenti e fisicamente molto alti, i giocatori piccoli di statura, con un baricentro basso e veloce nel dribbling, rappresentano l’ideale per stanare l’avversario arroccato nella sua area per difendere strenuamente uno striminzito risultato che in questo caso li ha portati dritti alla partecipazione del calcio mondiale in Russia. Certo, questa è la storia dei “se”, ma non ci dicano i milioni di tifosi italiani, gli addetti ai lavori e gli allenatori che hanno assistito alla partita, se neanche per un attimo si sono chiesti perché non giocasse Lorenzo Insigne. Peccato, perché avrebbe potuto rappresentare quel finto nueve di sarriana memoria, che nel Napoli dal gioco spumeggiante sta recitando Mertens.

Ma per fare questo, a nostro parere ci vuole un tecnico dal credo calcistico e vedute molto aperte, elastiche, disposto anche a inventarsi qualcosa di nuovo senza paura di sbagliare. E invece abbiamo assistito alla confusione più concreta e persino a momenti di polemica, quando le telecamere si sono soffermate impietosamente su De Rossi, il quale dopo essere stato invitato a riscaldarsi per entrare in campo, ha esclamato: “Ma cosa entro a fare, se dobbiamo fare gol è meglio Insigne e non io. Mica dobbiamo difendere qualcosa”. Ecco, diremmo proprio che questo è stato l’emblema di una Nazionale condotta in maniera raffazzonata, con poche idee e tanta voglia di calcio antico. Certo, come abbiamo già detto in un altro nostro articolo, questa bruciante bocciatura per la Nazionale Italiana che è stata estromessa dal Mondiale 2018 in Russia, ha radici ben più profonde che partono da molto lontano. Tuttavia, se ci si fosse orientati verso un altro C.T. dalle vedute più larghe, elastiche e ammodernanti di un calcio fatto di fantasia ma anche di corsa e determinazione, probabilmente quel pallone mai entrato in porta nelle due partite eliminatorie contro la Svezia, chissà, così facendo si sarebbero aperti spiragli di luce. E invece l’azzurro tenebra è piombato a San Siro, in una notte di pianti, lacerazioni interne, perdite economiche e d’immagine che ora, forse, potrà recuperare quel Carletto Ancelotti che secondo noi resta l’unico vero timoniere per una rinascita lunga e laboriosa.

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