La Scuola: fonte di felicità?


 Non è raro nei discorsi che si ascoltano in televisione sentire accenni che si riferiscono al cosiddetto “terzo mondo”. Se vi è un terzo mondo, vi sarà  pure il primo e il secondo. E forse pure il quarto, il quinto  e … oltre. Gusto maniacale per una scala di valori adoperata nello sport come nella ricchezza, nello sviluppo nazionale e in qualsiasi cosa che può essere comparata. Alto gradimento per i gradini più alti, naturalmente, e i più bassi? Riservati ad una sottospecie umana. 
 
 
I più alti indici di sviluppo sotto l’aspetto economico, sociale, e civile di un popolo, sono spesso congiunti ad un alto grado di scolarizzazione – ottimo fertilizzante per il cervello – che consentirà di sfruttare al meglio risorse di ogni genere presenti sul territorio.
 
   Dunque, la scuola  come fattore trainante in tutte le attività concernenti l’uomo. Punto fermo.
 
La scuola, si sa, è la somma di tutte le conoscenze accumulate dall’umanità, dai suoi albori fino ad oggi. Ovviamente non tutto ciò che è stato pensato è stato recepito dalla scuola. Dio sa quanta scienza  è stata concepita e non  comunicata, e quindi sepolta insieme a chi l’ha pensata.
 
Questa affermazione mi suggerisce una pezza d’appoggio, prendendo per attendibile un’ipotesi che qualcuno ha formulato nel tentativo di dare una spiegazione della scomparsa del fisico siciliano Ettore Majorana. Per chi non lo sapesse, questi aveva avuto per maestro Enrico Fermi. A quel tempo non esistevano i calcolatori elettronici, e i calcoli venivano fatti alla lavagna. Majorana elaborava mentalmente le formule che il docente andava scrivendo, e arrivava ai risultati prima che Fermi li rendesse chiari. E’ tutto dire. 
 
L’ipotesi sulla scienza a cui ho accennato, postulava  la scomparsa volontaria dello scienziato, che avendo intuito la potenza micidiale della bomba atomica, aveva preferito scomparire, piuttosto che contribuire a realizzarla, portando con sé le proprie  conoscenze, capaci di applicazioni terrificanti.
 
Si considera che in passato irrisoria era la percentuale dei privilegiati che potevano studiare e conseguire un aumento del loro potenziale  intellettivo, mentre immenso era il numero di coloro che rimanevano nel limbo dell’ignoranza, senza che abbiano potuto lasciare ai posteri il frutto concreto del loro pensiero. Non è azzardato dedurre da ciò che l’entità della massa delle nozioni che la scuola dei nostri giorni può offrire ai discenti, è poca cosa rispetto a quello che avrebbe potuto essere realmente. Ora, paradossalmente, secondo il mio stile, dopo aver esaltato la funzione della scuola, cambio registro e ragiono sull’altra faccia della medaglia. Se non ci fosse stata la scuola, gli uomini ignoranti sarebbero stati più infelici dei sapienti? Riflettiamo sulla meta più ambita che si prefigge l’uomo nelle proprie aspirazioni alla felicità. In tempi tecnologici come i nostri, possedere una super automobile potrebbe essere il massimo del desiderio. In tempi preistorici avere una bella donna poteva rappresentare lo zenit della gioia. Però allora l‘automobile non poteva essere desiderata perché non esisteva, mentre la bella donna c’era e c’è sempre stata. Bastano due soli esempi. 
 
I sentimenti dell’uomo primitivo non differiscono tanto da quelli dell’uomo moderno, se preservato però dagli stimoli impropri della modernità. La privazione di ciò che si conosce porta infelicità, o come minimo insoddisfazione. Ma chi mai può desiderare ciò che non esiste? Neppure il ricco può concedersi ciò che non esiste. Se l’umanità fosse rimasta allo stato primitivo, sarebbe stata più infelice di quella evoluta del terzo millennio? Sta bene la liberazione dalla fatica fisica, ottenuta grazie ai mezzi tecnici della modernità, ma il progresso portato dalla Scuola  (opinione mia, solo mia) non corrisponde minimamente alla beata condizione dell’ignorante. Quanto è calmo e tranquillo il suo cuore! Perché turbarlo, imbottendolo di perniciose ed inquietanti trovate di “presunti intellettuali” progressisti, che infettano la società?
 Andrea Smith

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