Stato contro mafia, legalità contro illegalità. Eterno conflitto e vittime innocenti


E’ la macchia del nostro Paese, così preso da mille problemi di natura economica e sociale che ne evidenziano storiche alternanze tra cose fatte bene e altre raffazzonate malamente. E in mezzo alla legalità dello Stato che dirige le sorti democratiche del suo popolo, c’è un’organizzazione ostile di illegalità che affonda le sue radici nella notte dei tempi. Ventotto anni dopo la strage di Capaci organizzata da Cosa Nostra, che costò la vita di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, è ancora vivido in noi il pensiero di una lotta costante, talora subdolamente nascosta, ma sempre riproduttiva di una serie di atti ostili provocati dall’illegalità che ambisce a condurre il proprio Potere contrastando la legalità dello Stato. “Come tutte le cose umane, anche la mafia ha un inizio e avrà una fine…..”. E’ una frase storica detta da quel grande magistrato che fu Giovanni Falcone, il quale assieme all’altro illustre magistrato e suo amico Paolo Borsellino, combatté la mafia con la forza e la convinzione di difendere lo Stato democratico e la sua legalità. Ma al contrario delle convinzioni di Falcone in merito alla mafia (ha un inizio e avrà una fine), quest’organizzazione malavitosa che mette sempre in pericolo l’andamento legale del nostro Paese, è purtroppo molto radicata. E’ bello pensare come Falcone e Borsellino abbiano portato avanti con ammirevole passione il convincimento di estirpare l’illegalità nei confronti dello Stato, pur sapendo di mettere a repentaglio le proprie vite. E oggi, ventotto anni dopo quella terribile mattanza di Capaci, così qualcuno dice: “L’Italia si ricorda di Falcone solo per pulirsi la coscienza”. Chiaro riferimento alle Istituzioni, alla politica, allo Stato stesso, manchevoli di supporto fattivo a cotanto impegno e ammirevole forza nel combattere un’organizzazione criminale che nel tempo è anche diventata una forma di cultura. Più volte si è pensato che lo Stato non abbia mostrato tutta la sua forza in modo reale, ma abbia semplicemente adottato quell’armiamoci e partite che è stato solo frutto di apparenza. La storia ci ricorda i tanti viaggi fatti da Falcone tra Palermo e Roma. Incontri che indicavano oltre la correttezza di rendere conto del procedimento di certe indagini, anche la chiara richiesta di aiuti con la garanzia di non essere lasciati soli in una terra in cui si diramano forti radici di illegalità nel mondo. In tutto questo, c’è forse in Falcone una forma di ammirevole candore e di genuinità, che pur dubitando evidentemente delle promesse fatte dalle Istituzioni, ha proseguito ugualmente assieme all’amico Borsellino una lotta che ha portato alla morte di entrambi. E quest’anno, al contrario dei precedenti 27 anni che sono seguiti alla strage di Capaci, il virus non ha permesso di ricordare con l’unione della gente di Palermo e di tutta l’Italia, Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta che è poco definire veri eroi del nostro tempo. Ma anche se materialmente non c’è concesso di stringerti in un abbraccio, in modo virtuale innalziamo il nostro sguardo al cielo per urlare forte e chiaro tutta la nostra convinzione, che soltanto stando uniti si possono raggiungere i risultati sperati. Stare da una parte, mette in preventivo di non cedere mai alla disgregazione, di non lasciarsi andare a subdoli atteggiamenti di tentazioni pericolose che ne manifestino la fragilità. Essere convinti e uniti nello sforzo di portare a termine un progetto ben definito, è l’unico modo per attuarlo. Altrimenti, non basta esporre dai nostri balconi un lenzuolo bianco per significare tutto il nostro diniego all’illegalità e alle organizzazioni che attentano alla vita dello Stato democratico.

Salvino Cavallaro

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