La Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta da Roberta Serio, dopo oltre 14 ore di camere di consiglio, ha condannato all’ergastolo il boss latitante Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92 di Capaci e Via D’Amelio costate la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e agli agenti delle loro scorte.
“Una sentenza dal sapore amaro – commenta Maricetta Tirrito, portavoce del Cogi (Comitato collaboratori di Giustizia) – perché se da un lato è un segnale di dignità dello Stato che da anni lotta contro la mafia, dall’altro rappresenta un atto che va a colpire un ‘fantasma’, figlio di un’epoca e di una mafia – quella di riferimento della cupola di Riina – che oggi non esiste più.
Mi chiedo; quanto serve condannare i boss eccellenti, che probabilmente non troveremo mai perché anche morti? Più che esultare per la condanna di un latitante, dovremmo concentrare la nostra attenzione su cosa oggi si stia facendo per tracciare, individuare e colpire i nuovi boss di cosa nostra. Alcuni dei quali, va ricordato, sono stati rimessi ai domiciliari con l’arrivo del Covid. E non tutti sono rientrati in carcere, ce ne sono ancora molti che dalle proprie case gestiscono e governano i processi criminali sui territori.
I recenti arresti su Roma a Tor Bella Monaca di un’organizzazione che gestiva lo spaccio di stupefacenti, la settimana scorsa stessa cosa ad Ostia, segnano un cambio di passo: in entrambi le situazioni c’erano donne a far parte dell’organico, del traffico, del comando e della gestione dello spaccio sul territorio. Vuol dire che il fenomeno della mafia legato ai personaggi come Messina Denaro, non esiste più, è cambiato il modello”.
“La mafia – prosegue Tirrito – si è rivoluzionata tanto da dare potere decisionale alle donne, cosa che nella struttura della cupola non era considerata. Non solo non potevano parlare, ma a volte neanche ascoltare.
Perché il nostro percorso di inseguimento al mafioso e di carcerazione, non si è evoluto come il percorso fatto dalla criminalità sui territori? La mafia è diventata imprenditrice, lavora con tutti e su tutti, parla con cellule di criminalità locali come con la omologa nigeriana, al fine da ottimizzare risorse e profitti, che di contro per la società civile significano morti e economie strangolate”.
“Questa sentenza – conclude – è un atto simbolico, una condanna morale. Giustissima, per carità, ma non è così che si afferma la presenza dello Stato, la forza di controllo su una nazione”.