Dacca e l’efferato commando degli Jihadisti


Salvino Cavallaro  – Ci piacerebbe raccontare la vita nella sua angolazione più bella. Ci piacerebbe informare di fatti e accadimenti positivi capaci di rallegrare, incoraggiare il futuro di tutti; giovani compresi. Ma la deontologia e l’etica professionale ci ricordano di essere sempre attenti all’informazione corretta, anche in occasione di fatti che purtroppo non esortano il coraggio di andare avanti. E così ci ritroviamo puntualmente a parlare di morte, di stragi di innocenti e di efferati e sanguinari agguati all’umanità. Si tratti delle innumerevoli vittime di emigranti che elenchiamo tutti i giorni annegati nelle acque del Mediterraneo o delle ripetute stragi sanguinarie causate dagli jihadisti, il comun denominatore è sempre lo stesso: il male. Chi dice che c’è un Dio che induce a uccidere degli innocenti inermi che non professano la loro stessa religione, che non conoscono il corano e non sposano la cultura della morte sulla vita, ebbene, quello è un dio con la d minuscola. E’ l’arruolamento all’effimero della vita, all’esaltazione di una guerra vigliacca che coglie alle spalle l’essere umano. I fatti accaduti a Dacca, in Bangladesh, ripropongono temi di violenza e di pazzia dettata da un califfato che fa guerra all’Occidente. Tu perché sei americano o europeo che professi una cultura e una religione diversa, devi essere ucciso senza pietà. Sgozzato, senza se e senza ma. Forme barbare ed estremistiche di una guerra assurda che non porta da nessuna parte, che è destinata ad essere vinta dalla logica della vita, dei valori, della democrazia e della libertà di espressione. Ma ci vorrà ancora molto tempo e purtroppo anche altre vittime innocenti pagheranno con il sangue le colpe che non hanno. Non sarà facile estirpare questo fenomeno terroristico armato, che invoca il principio del jihad alla luce di un pensiero radicale chiamato fondamentalismo islamico. Ma la cosa più preoccupante è che il commando assalitore delle 20 vittime (tra cui 9 italiani residenti in Bangladesh) erano tutti ragazzi colti, belli ed eleganti. “Vedendoli per strada” dice il cuoco Samir Barai, sopravvissuto al massacro dell’Holey Artisan Bakery di Dacca “ non avresti mai detto che tipi così avrebbero potuto fare una cosa del genere”. Questo ci fa riflettere su quanto sia radicato dentro questi esecutori di morte, il fanatismo religioso inculcato da una scuola che vede nella morte e nella distruzione, la liberazione di ogni cosa. Eppure, questi ragazzi assalitori erano figli dell’aristocrazia del Bangladesh. Famiglie che hanno fatto studiare i propri figli, i quali si sono laureati con voti molto alti. Lodi significative di cervelli importanti, che avrebbero potuto rappresentare l’aiuto al futuro di un mondo migliore. Eppure, dopo aver vissuto una vita agiata in famiglia, ecco che questi ragazzi vengono catechizzati al male. Una posizione sociale e una cultura universitaria che stride con l’orrore della violenza, della morte, con la voglia efferata di uccidere i tuoi simili che però non professano la tua stessa religione e non recitano il corano. Ma che cos’è mai che spinge queste menti a essere i protagonisti di tanta violenza. Uccidere, uccidendosi. Assalire e sparare nel mucchio, senza conoscere la persona con la sua storia, con i suoi sacrifici per andare avanti e costruire il proprio futuro, che è poi quello del mondo e delle generazioni che verranno. Parigi come Dacca e qualsiasi altro luogo in cui si consumerà questa barbarie senza senso, non potrà certamente annientare il significato profondo della vita che, anche se è in pericolo, non soccomberà al desiderio di distruzione e morte che questo fondamentalismo islamico ci presenta come pretesto, per costruire una facciata di ideologie assurde e prive di logica.

            

Articoli simili