L’attore Gianfranco Jannuzzo in un’intervista a “cuore aperto”


— L’attore Gianfranco Jannuzzo.

 

 

 

Foto del giornalista Salvino Cavallaro Foto del Giornalista Salvino Cavallaro

      che cura le  Rubrica “Incontri”

 

 

“Tutelate i lavoratori dello spettacolo”

 

 

Gianfranco Jannuzo e sua moglie Ombretta Cantarelli Gianfranco Jannuzzo con la moglie Ombretta Cantarelli.

Fuori da ogni schema precostituito e sincero in tutte le forme che prevedono l’annullamento totale dell’ipocrisia, l’attore siciliano Gianfranco Jannuzzo ha onorato questo nostro incontro con schiettezza, manifestando apertamente tutta la sua preoccupazione per il delicato momento che investe il settore dello spettacolo italiano. Momenti di rabbia contro un sistema che non garantisce tranquillità per i lavoratori dello spettacolo, si sono alternati ad attimi di speranza per la fine di una pandemia che ha cambiato il mondo e limitato la nostra libertà. E’ stato un piacere intervistarlo, proprio per la sua naturale capacità di disquisire razionalmente sulle tematiche di una professione che si riflette sempre in un Paese che non riesce a salvaguardare il lavoro in genere e specificatamente quello dello spettacolo. Ascoltiamolo dunque in questa lunga ed esaustiva intervista.

Gianfranco, ricordi ancora l’ultimo spettacolo che hai fatto prima della chiusura delle sale di teatro? Immagino ci fosse stata come sempre tanta gente a venirti a vedere.

“Sì, per fortuna era venuta tanta gente. Io ho un caro amico che è anche collega. Si chiama Michele La Ginestra, un attore che da qualche anno ha aperto a Roma un piccolo teatro, ma molto bello, che si chiama Teatro Sette. Da molto tempo mi chiedeva di andare a recitare lì, tuttavia, le varie tournée mi avevano impedito di farlo. Ma a febbraio o marzo scorso avevamo deciso di recitare in questo teatro per tre settimane. Devo dire che stava andando tutto bene con il mio “Recital” – uno dei miei spettacoli che prediligo perché c’è un rapporto con il pubblico assolutamente fisico, nel senso che desidero accontentarlo in tutti i modi perché lo devo far divertire, coinvolgere e anche commuovere se ci riesco. Sai, quella è una sfida per un attore che diventa interprete a tuttotondo ed è il motivo per il quale mi sono innamorato di questo lavoro, visto che lo interpreto così come lo intende quello che considero il mio maestro di sempre Gigi Proietti. E’ l’intendere dell’attore che dovrebbe poter fare tutto, e cioè essere comico, drammatico, saper ballare, recitare, divertire, commuovere, insomma saper fare un po’ tutto. E questa è una sfida alla quale ogni tanto bisogna sottostare, misurarsi, anche perché il pubblico ti dà immediatamente la sensazione di essere stato coinvolto. Insomma, per un attore tutto ciò è molto appagante. E poi sai, è inutile essere ipocriti visto che si vive per la considerazione in cui siamo tenuti dagli altri, se no da soli non si potrebbe fare altro che l’eremita. Qualunque lavoro si faccia hai sempre bisogno di uno specchio, tu perché sei un medico e hai bisogno del tuo paziente, tu perché sei un avvocato e hai bisogno del tuo cliente, tu perché sei giornalista e hai bisogno del tuo lettore. Nel mio caso è lo spettatore che è la parte più importante del mio lavoro.”

E poi il lockdown che ha fermato l’Italia. Come hai vissuto tale periodo dal punto di vista professionale e umano?

“Cerco di ripercorrere insieme a te quei momenti. Come tutti, all’inizio ho vissuto questa situazione  come una cosa che sembrava eccessiva, cioè che avrebbe fatto soltanto dei danni. Era difficile poter capire sul momento la vera gravità di questa cosa. Poi, invece, l’atteggiamento è cambiato e tutti abbiamo accettato di buon grado di fare dei sacrifici, pur nella inconsapevolezza di non sapere quanto terribili sarebbero state le conseguenze di una chiusura così totale, con il conseguente cambiamento di abitudini quotidiane e di vita. Abbiamo così maturato la consapevolezza che se tutti avessimo fatto la nostra parte ne saremmo usciti senza enormi danni anche perché vedevamo cose terribili, una per tutte la città di Bergamo, i cui morti non hanno potuto dare neppure un bacio o una carezza ai propri cari. Uno strazio che ha coinvolto loro in prima persona, ma anche tutta l’Italia e cioè tutti noi che guardavamo quei camion terribili delle Forze Armate che trasportavano le bare. Immagini terrificanti! Quindi, anche per scongiurare pericoli di questo tipo credo di poter dire che tutti gli italiani, contrariamente alla nostra indole di “bastian contrari” siamo stati invece molto consapevoli, quasi sorprendentemente direi, perché l’abbiamo fatto con cognizione di causa. Poi, dopo avere curato le nostre ferite, quando sembrava che tutto stesse passando, avevamo messo a fuoco l’idea di rimetterci in carreggiata. Parlando soprattutto del mio lavoro, devo dire che c’erano stati dei primi segnali positivi. Infatti, questa estate è stato possibile fare qualche spettacolo sia pure con il distanziamento, tuttavia, in queste circostanze abbiamo capito che da parte del pubblico c’era grande desiderio di aggregarsi di nuovo. Sai, il teatro è questo, è voglia di stare vicini gomito a gomito per commuoversi, per commentare, per stare insieme e solidarizzare. In tale periodo abbiamo avuto tutti l’illusione di ricominciare lentamente a tornare alla normalità. Ora, a parte il terrorismo che stanno facendo di nuovo dal punto di vista mediatico che io trovo assolutamente eccessivo, visto che basterebbe dire alla gente di comportarsi in maniera intelligente e ritornare a rispettare le regole senza un “liberi tutti”. Però, sai, la gente che stava riprendendo i locali, la movida e i ragazzi da sensibilizzare senza tuttavia danneggiare un’economia che è diventata fragilissima, era la speranza. Insomma, adesso ritengo sia opportuno trovare il giusto equilibrio.”

In senso generale, pensi che il Coronavirus sia stato gestito male dalle istituzioni italiane dal punto di vista sanitario, economico e sociale?

“Ma sai, da quello che stanno dicendo adesso bisogna fare sempre un po’ di tara sulle esagerazioni giornalistiche da tutti i punti di vista. Dico questo con tutto il rispetto per la vostra categoria, tuttavia, ci sono gran signori e ci sono anche ciarlatani come in tutte le categorie. Per cui puntare su questa corda così emotiva soltanto per suscitare clamore, fare i titoloni e partecipare alle trasmissioni televisive, mi sembra disonesto oltre che fare un cattivo servizio alla verità. Tuttavia, mi pare di poter dire come tutti noi, che si sta cercando di capire se è vero che questo virus non è più letale ora che si è abbassata l’età in cui può infettare e paradossalmente sembra anche più pericoloso, perché se è vero che la maggior parte dei morti sono stati decimati dal fatto che avevano patologie già presenti su fisici molto debilitati e quindi persone anziane, per intenderci, è altresì vero che ora attendiamo quanto i ragazzi possano in modo asintomatico infettare i loro nonni, i loro genitori, le loro sorelline o fratelli più grandi. E poi devo dire che è stato detto in tutti i modi che ci sarebbe stata una seconda ondata e invece di non fare niente in panciolle, com’eravamo, bisognava creare nuovi posti di lavoro soprattutto negli ospedali, incentivando il personale medico. Oggi si dice che è insufficiente, ma come fa a mancare il personale medico quando già si sapeva di questa nuova ondata? Mi pare ci sia troppa approssimazione in questa nostra Italia, soprattutto nelle cose per le quali non si può e non si deve scherzare. E’ un po’ come quando si parla dell’Ilva di Taranto che ci ha insegnato a non discutere tra la vita e il lavoro, ma sono due cose che devono essere considerate entrambe sullo stesso piano. Ci vorrebbero persone illuminate che si occupino della cosa comune, ma così non è. Purtroppo.”

Che idea ti sei fatto dei tanti virologi che hanno fatto vetrina nei vari salotti televisivi, dando spesso opinioni discordanti tra loro?

“Abbiamo assistito a uno spettacolo pietoso perché pur di apparire e diventare personaggi, hanno fatto e detto di tutto. Ma per fortuna nostra con il tempo abbiamo capito quelli di cui potersi fidare per garanzia di serietà.”

Tornando più specificatamente al mondo della cultura e dello spettacolo, cosa avresti proposto per non aggravare la situazione già precaria dei lavoratori, prima e durante la pandemia?

“Intanto, cercando di non aggravare ulteriormente la situazione come quando si era paventata l’idea di fare occupare in teatro soltanto cento posti invece di cinquecento. Pazzesco! Questo significava ucciderlo definitivamente, anche perché con i vari teatri che stavano timidamente riprogrammando in qualche modo gli spettacoli con le compagnie, molti non vanno a buon fine perché mancano i soldi per poterli organizzare. La situazione è davvero difficile perché i vari teatri di cui non faccio nome perché riguarda tutti, hanno programmato stagioni pur con queste limitazioni e ora quello spettacolo salta, quell’altro non si può fate, un altro non si deve rimandare. Insomma, in tutto questo caos il pubblico non sa più cosa fare. Il problema vero riguarda il teatro, un luogo di aggregazione sociale dove se non garantisci a quel settore vitale, (ti ricordi che qualche anno fa c’era stato un cretino di ministro che aveva detto persino che “Con la cultura non si mangia”)  – dicevo vitale per gli esercenti di teatro dal punto di vista del lavoro da parte dei tecnici, piuttosto che i costumisti, le costumiste, i macchinisti, i fonici e le loro famiglie. Insomma, c’è gente che vive di poco, ma se quel poco viene a mancare diventa un dramma. C’è una miriade di persone che gravita intorno al settore dello spettacolo e se tu non lo proteggi, non lo incoraggi, la gente si confonde ancor di più.”

E veniamo ad oggi. Ti consola sapere in qualche modo che nel nuovo DPCM del 18 Ottobre scorso si sia stabilito che le sale di cinema e teatro continuino a restare aperti pur con le varie misure anti covid?

“Certo, mi fa piacere. Per fortuna si è presa questa decisione perché si era terrorizzati tutti dicendo che da 200 posti in teatro si sarebbe passati a 100. Credo si possa contare sulla coscienza civica che è diventata pane quotidiano. Quindi, tutto ciò che facciamo quotidianamente, come portare le mascherine, fare distanziamenti e quant’altro è da rispettare.”

Tuttavia, nonostante ciò, persiste la legittima preoccupazione dei lavoratori dello spettacolo che chiedono nuove regole per l’organizzazione degli eventi che ne rendano possibile la sostenibilità economica. E’ così?

“ Assolutamente sì. E’ proprio così come tu dici!”

E intanto è stata varata la manovra per il 2021, in cui sono previsti 40 milioni di euro per contrastare la pandemia e le risorse destinate a cultura e turismo. Pensi che tutto ciò non sia sufficiente a migliorare la situazione?

“Certo che non è sufficiente. Cosa sono 40 milioni di euro? Ma poi a chi li daranno, forse li daranno a pioggia? Il problema è che ci vuole un piano strutturale che possa aiutare a migliorare la situazione del mondo dello spettacolo, della cultura e del turismo. Abbiamo ministri che non sono mai stati una volta in teatro, vanno alle prime della Scala, mettono lo smoking ma non sanno cosa sia perché non li abbiamo mai visti. Non faccio nomi perché non è questa la sede, però giuro che i ministri in teatro non li abbiamo mai visti, anche se devo dire che qualche volta abbiamo visto qualche ministro illuminato, qualche Presidente della Repubblica che va in teatro, ma sono l’eccezione e non la regola. Non gliene frega assolutamente niente a nessuno e quindi siamo disperati e preoccupati a tutti i livelli. Pensa alle compagnie che non hanno un grande nome di richiamo come fanno, come vivono, di che cosa campano. E non è nemmeno dignitoso aspettare degli aiuti che arrivino (così si dice ma poi non arrivano mai) dei soldi dall’INPS, così come la cassa integrazione mai arrivata. Quindi quei 40 milioni di euro sono nulla, sono una goccia in mezzo al mare. Ma destinate uno, due miliardi di euro per questo settore eternamente in crisi in Italia. E ancora una volta dobbiamo pensare alla Germania che fa da esempio, alla Francia che si mette in piedi quando ci sono gli attori, nazioni che adorano la cultura, la stimano la considerano un’industria. Se non si fa così caro Salvino, in questa nostra Italia non ce la faremo mai.”

Gianfranco, in tutto questo caos che investe da sempre il mondo dello spettacolo, ti è capitato qualche volta di rimpiangere di avere scelto la carriera di attore?

“No, quello no, ti prego di credermi. Tuttavia, devo dirti che ti rendono dura la vita, difficile sotto ogni aspetto. Sai, c’è un certo fatalismo negli attori, perché alcune problematiche vanno messe in conto come le annata fortunate e altre meno, dove la fortuna gioca un ruolo importante. Una volta il teatro era un’isola felice perché non erano previste le intromissioni della politica o dei vari giochi di potere economico, perché lì contava soltanto il rapporto tra lo spettatore e l’attore. Se uno è bravo va bene e se non lo sei il pubblico non viene più a vederti. Ora si sono mischiate le carte in tavola, in quanto ci sono attori che si fanno raccomandare per andare in teatro perché non sanno cosa fare in televisione o al cinema. Quindi occupano posti che non gli competono e non c’è cosa peggiore di occupare un posto di cui non sai fare il lavoro, essere pagato per un qualcosa che non sai fare è la peggiore forma di disonestà civile che si possa immaginare. Combattiamo quotidianamente su queste cose, tuttavia, ti ripeto che non ho mai rimpianto nulla perché l’ho sempre messo nel conto di questa professione, però è dura. Ora siamo seriamente preoccupati, perché il mio unico modo di sostentarmi è quello di lavorare. Chiedo solo di lavorare, non di essere raccomandato o fare chissà che cosa. Voglio solo lavorare, lavorare, lavorare!”

Recitare per 30 persone o poco più, come avviene probabilmente in questo periodo, non è deprimente per un attore?

“Certo che è deprimente per un attore, ma in questi tempi o fai così o non lo fai. Devo dirti che l’altro giorno sono stato a Crotone dove c’erano 200 persone, visto che di più non ne potevano entrare, se no ce ne sarebbero state più di mille se le avesse contenute. Ebbene, sappi che quelle 200 persone si sono moltiplicate per 10. Hanno applaudito quando c’era da applaudire di più del normale, hanno fatto un grande silenzio nei momenti in cui ho il privilegio di coinvolgere il pubblico fino a non sentire fiatare una mosca. Ecco, quel pubblico ha dimostrato che ha una gran voglia di ritornare alla normalità.”

Quali sono le tue previsioni riguardanti l’immediato futuro del mondo dello spettacolo?

“Se le cose rimangono così e non arriva qualche cretino che alla mattina si sveglia e dice no, chiudiamo i teatri oppure facciamo in modo che entrino soltanto 100 persone, allora possiamo sperare che lentamente si giunga a una certa normalità. Certo, Salvino, stiamo tutti aspettando questo benedetto vaccino perché la normalità non è questa. La normalità è ritornare a vivere, riempire i teatri senza più limitazioni della nostra libertà.”

Gianfranco, abbiamo terminato. C’è una domanda che non ti ho fatto e che avresti voluto sentire?

“ No. Tu non dimentichi mai nulla. “

Salvino Cavallaro                            

 

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