Toro, prove di cambiamento mentale


E’ stata un’impresa da grande Toro ma, obiettivamente, diciamo subito che l’Atalanta si è buttata via. Succede spesso nel calcio che l’allentare il ritmo di una squadra, coincida con l’esaltazione dell’altra. Tuttavia, è il caso di dire che quanto visto a Bergamo sul campo di un’Atalanta che al 21’del primo tempo vinceva già 3 a 0 grazie ai gol di Ilicic,  Gosens e Muriel, avrebbe stroncato tutte le motivazioni di qualsiasi squadra. Ma il Toro ha avuto un’impennata d’orgoglio ed ha fatto le prove per cambiare mentalità, ancora prima di rivedere il suo assetto tattico. Sì, perché quando ti ritrovi con un tale peso sul groppone capace di svilire il residuo lumicino di autostima, allora c’è da pensare che qualcosa di vivo esiste ancora in questo Toro di mister Nicola. E’ un dato di fatto che da qualche partita il Toro stia dimostrando di saper rimontare gli imperdonabili svarioni difensivi (41 gol subiti in campionato) e, per tale motivo, adesso deve provare qualche volta a passare in vantaggio per vedere fino a che punto il processo di cambiamento mentale sia veramente a buon livello di crescita. 2 partite vinte, 9 sconfitte, 10 pareggi, 32 gol segnati, parlano chiaro di una situazione deficitaria che porta dritto dritto in Serie B senza alcun appello di sorta. Urge dunque ripartire in fretta con lo spirito di mister Nicola che sembra avere unito in un monolito la squadra contro tutto e tutti, basta vedere le immagini che alla fine di ogni gara ci riportano al centro del campo per assistere alla voglia dei giocatori di stringersi attorno al proprio allenatore. Queste scene non sono cose da sottovalutare ma, al contrario, è giusto dare un peso per nulla esteriore allo sforzo di concepire la squadra come senso globale di meriti e di demeriti. Proprio come in quel momento in cui a Bergamo il gallo Belotti ha sbagliato prima il rigore e poi con rabbia ha messo dentro quel pallone che gli è ritornato dalla corta respinta del portiere atalantino. Sì, perché poi nel secondo tempo si è visto proprio un Toro rivitalizzato nella convinzione di potere rimontare tutti insieme i due gol di scarto. E così è stato, perché prima Bremer e poi Bonazzoli, entrato al posto di Zaza, hanno portato in parità una gara che alla fine il Torino avrebbe addirittura potuto vincere, grazie anche all’evidente stanchezza fisica mostrata dalla squadra di Gasperini. Dunque, il Toro ha dato timidi segnali di ripresa, anche se chiaramente la classifica piange ancora per una squadra che ora deve cominciare necessariamente a portare a casa qualche vittoria. Sarà contento il presidente Cairo che fresco del suo nuovo look che lo fa assomigliare al cantante Gaetano Currieri degli Stadio, ha l’espressione di chi con poco si barcamena sempre in un mare in tempesta. Infatti, l’ottimo acquisto di Mandragora, pilastro del centrocampo, si contrappone a un Sanabria ancora da valutare perché affetto da Covid 19 e ai sei giocatori sparsi in giro per sfoltire la rosa e, soprattutto, per creare le solite plusvalenze tanto care al presidente del Torino. In fine, ma non per ultimo, ci preme rimarcare il gesto di fair play di Andrea Belotti, l’immenso gallo che nel corso del primo tempo, dopo essere finito a terra e dopo che  l’arbitro ha fischiato una punizione a favore del Toro ammonendo l’atalantino Romero autore del presunto fallo, alzandosi ha detto all’arbitro: “Romero non deve essere ammonito, questo non è fallo”. Un episodio di etica professionale e di integrità morale dell’uomo, che regala un esempio di alta scuola educativa soprattutto per tanti giovani che amano giocare a calcio e per tutto l’ambiente pallonaro, sempre così pieno di furbizia ed egoistiche opportunità per fregare gli altri. Il gallo merita un plauso enorme. Lui, con quel – “No, questo non è fallo” – ha fatto il più bel gol della sua vita. Sì, perché il calcio dei tanti milioni di euro ha bisogno di certi gesti di coerenza, correttezza e onestà, che si sono persi ormai nei meandri di frasi blasfeme e scene di violenze di campo e mediatiche assolutamente inaudite. Non è retorica se diciamo che il mondo del pallone contemporaneo deve poter dare segnali come questi di educazione e onestà intellettuale. Anche da parte degli addetti ai lavori e di chi scrive come noi.

Salvino Cavallaro       

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