IL ROSSO E POI…IL NERO


Stamane nello svegliarmi mi sono ritrovato in quello stato di stupore e di turbamento inquieto in cui sprofonda la mia anima nell’ottenere ciò che ha desiderato per anni. La mia anima è stata da lungo tempo abituata a desiderare, oggi non trova più niente da desiderare, mentre non vorrebbe brutti ricordi.

Stendhal diceva: “Nei caratteri arditi e fieri non c’è che un passo tra l’essere in collera con se stessi e l’ira contro gli altri: in tal caso gli scatti di furore costituiscono un vivo piacere “.

In questi mesi di pandemia l’ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è diventata ancor più una legge assoluta dei poteri forti del capitalismo. Chi scrive non è di certo un pacifista. E’ un durissimo nemico della guerra tirannica per la spartizione del bottino fra i ricchi, ma ha da sempre affermato che sarebbe assurdo che i lavoratori ripudiassero la guerra d’opposizione che potrebbe essere necessaria nell’interesse della società.

Mi vedo vincolato nello scrivere quello che da oggi sarà la passione, non di Cristo, ma degli italiani in generale e dei calabresi in particolare, a subire la tirannia di uno Stato che, non sapendo cosa fare per gestire una loro pandemia, si affannano a costruire giorno dopo giorno, ora dopo ora, teoremi. Noi, che subiamo queste loro decisioni, dobbiamo essere in grado di distruggere con la forza le loro forme consolidate, che vogliono sbarrare la strada all’avvenire. La logica potrebbe essere l’arma per spezzare le barriere, rotte le quali è rotto l’incanto della eterna immutabilità delle forme del pensiero, “che si svelano come incessantemente mutevoli, si plasmano sul mutamento rivoluzionario delle forme sociali.“
La filosofia della tragedia del Corona virus è una sola. Alla base di questo agire temerario, dettato e imposto dalla fame di profitto, da una legge economica cui devono chinarsi tutti i lavoratori e per cui è un rimedio sciocco trovare con le inchieste quello da condannare, sta il più idiota dei culti moderni, il culto della capacità. Non solo è disumano trovare il capro espiatorio, ma è vano, quando si è lasciata spuntare questo stolto tirannico ed elitario consorzio produttore fatto a  compartimenti stagni per cui nessuno sarà colpevole. I nostri tiranni sono signori ingiusti e crudeli, amatori solamente dell’utile proprio.

“Conterò poco, è vero”
diceva l’Uno ar Zero
ma tu che vali? Gnente, proprio gnente.
Sia ne l’azzione come ner pensiero

rimani un caso voto e inconcrudente.
Io invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
È questione de nnummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore

che cresce de potenza  e de valore
più so’ li zeri che je vanno appresso”.  Il poeta romano Trilussa

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

 

 

 

 

 

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