Ma quale immortalità? Ci voleva Celentano per suscitare il dibattito sulle donazioni degli organi


Egli ha semplicemente criticato la legge che consente l’espianto di organi nel caso che il “presunto” defunto non abbia espresso – quand’era ancora in vita, si capisce – volontà contraria. Ha precisato di essere a favore dei trapianti, ciononostante non gli sono state risparmiate aspre rampogne, sia da giornalisti che da medici. Qualcuno gli ha affibbiato pure l’epiteto di ‘ignorante’. Poveretto. E se avesse detto di essere contrario alle donazioni, nonché ai trapianti? Apriti cielo!

Si può rimanere ben rincantucciati nel proprio egoismo, senza dare non dico il cuore dopo morto, ma neppure un suo palpito a chi ne avrebbe bisogno; però non si deve mai uscire dal conformismo delle parole generose, anche se sterili di sostanza. Soprattutto, non si deve mai contrastare il pensiero dominante che ci viene pasciuto da chi ne ha i mezzi e la convenienza.

Per conto mio non amo i trapianti e non ho paura di dichiararlo. Chi si scandalizza della mia crudeltà, abbia la compiacenza di leggermi, e veda se può concedermi una piccola attenuante.

Come primo acconto, è bene che affermi la mia convinzione sulla sacralità della vita, ma pure l’accettazione del suo termine naturale. Questi due enunciati sono rivelatori del mio pensiero cristiano, e so che il conformismo dominante del nostro tempo ascriverà la mia posizione a debolezza intellettuale. Lungi dal volerla nascondere, se debolezza fosse, la manifesterò per intero, irridendo ai sorrisetti beffardi di qualche omuncolo materialista (so io a chi penso), ”coscienziosamente” impegnato a dileggiare i credenti attraverso il piccolo schermo.

Una persona che non è capace di attingere le regioni/ragioni spirituali del credente, è svantaggiata nella ricerca della Verità, perché non conosce – e non può andare oltre – l’orizzonte umano.

Essa vede la vita come un bene da difendere ad oltranza, stirandone la durata oltre ogni limite, ricorrendo a qualsiasi mezzo che glielo consenta. Essendo il rapporto vita/corpo inscindibile, ecco che per vivere il più a lungo possibile, è necessario curare il corpo fino a sostituire i ‘pezzi’ irrimediabilmente rovinati.

Nessun sondaggio suffraga la mia affermazione, ma sono certo che la maggioranza degli aspiranti longevi sono materialisti, quelli che, per dirla con padre Livio, prediligono il corpo dalla cintola in giù, non tralasciando occasione per saziarne gli appetiti. Essendo il materialista, per definizione, privo di spiritualità, non è improbabile che sia pure privo di scrupoli morali. Egli ha bisogno di un rene? Gli importa ottenerlo, senza guardare al ‘come’ lo ottiene. Poteva ancora servire al donatore – venditore? E chi se ne impipa?

Facendo un excursus retrospettivo nella storia dei trapianti, non si può non ricordare che il primo trapianto – che suscitò tanto clamore – fu quello effettuato dal dottor Barnard, il quale tolse il cuore ad un morto e lo trapiantò ad un vivo. Come per tutte le cose primigenie concepite a fin di bene, e poi tralignate – per esempio, il libero arbitrio donato al primo Uomo, la scoperta della polvere da sparo, quella dell’energia nucleare, o la pensione ai veri invalidi, colta come opportunità da non perdere da chi scoppiava di salute – anche la pratica dei trapianti ha seguito la deriva, trascinando con sé delle operazioni (non chirurgiche) depravanti che rendono sempre più lupo l’uomo all’uomo.

2) Certa malcerta teologia avalla il trapiantismo, equivocando sulla scelta di Gesù che ha donato la propria vita per salvare l’umanità. Si noti bene che Egli, donandosi, intendeva salvare la vita spirituale, non quella materiale. Di questa dice: “ Chi cercherà di salvare la sua vita, la perderà; e chi la perderà, la conserverà”.

Concetto assurdo e inaccettabile per l’uomo scristianizzato del terzo millennio.

Un padre rischia la vita pur di tentare di salvare il figlio che sta annegando, ma la rischia integralmente, non a spezzoni. Quando il Cristo sana qualcuno, non va in ospedale alla ricerca di un morto ancora caldo per togliergli gli occhi oppure le gambe, onde trapiantarli su chi ne ha di bisogno: fa tutto ex novo, senza saccheggiare neppure un cadavere.

Non così invece per la scienza medica. Non tutta, naturalmente, ma quella avida di successo e di guadagni, che non si fa scrupolo di niente, neppure di utilizzare organi di viventi bisognosi di denaro, i quali vendono qualcosa di sé stessi pur di far fronte ai loro debiti o alle loro necessità quotidiane. E lo sa Dio se in questa necessità ci sono precipitati per eccesso di onestà loro e avidità altrui.

Né ci devono lasciare tranquilli le rassicurazioni delle autorità mediche riguardo alla provenienza, anche se apparentemente accertata, degli organi che si utilizzano, perché rimane insoddisfatta la domanda della destinazione che prendono gli organi ricavati da migliaia di bambini rapiti nel mondo, e non più ritrovati, forse macellati senza pietà.

Alla luce di queste inquietanti riflessioni, ho un moto di stizza ogniqualvolta sento invocare la sacralità della vita, la quale secondo certi profeti moderni, è giusto che sia prolungata oltre il suo limite naturale, senza considerare che SEMPRE la vita è sacra, e soprattutto quando essa è custodita nel corpo che la ospita dal concepimento. Non posso tacere sui milioni di vite innocenti dilaniate nel grembo materno attraverso la pratica dell’aborto, che si fregia dell’aggettivo ‘legale’, perché una legge infernale glielo ha conferito. Si badi bene: il paladino che difende il primo principio, è quasi sempre lo stesso che sbandiera come “conquista civile” il diritto all’aborto!

Figuri ambigui, disinvolti nell’uso dei due pesi e delle due misure, dopo aver oscurato le loro coscienze, non sono più in grado di percepire la ripugnanza che procurano in coloro che non si sono lasciati corrompere dai loro ragionamenti. Non comprendono che se la morte deve mietere, è bene che lo faccia laddove la spiga è matura.

Prima dell’avvento del trapiantismo, la cieca dea nera era l’unica vera imparziale operatrice di giustizia, che non guardava nessuno in faccia, tantomeno nel portafoglio. Il misero ne era consolato; ora deve temere: la morte ha acquistato la vista, e guarda in faccia la vittima da cogliere.

A questo punto è necessario che io chiarisca cosa c’entra il pensiero cristiano sopra menzionato con i trapianti, e che cosa significhi attingere le regioni/ragioni spirituali del credente. Presto fatto.

3) Si capisce che per colui che ridicolizza la vita dello spirito, riconoscendo soltanto quella della materia, risulterà incomprensibile quanto sta per leggere. Egli non può comprendere che il corpo umano va considerato nella sua interezza, e non può essere paragonato ad un’automobile, dalla quale il proprietario può togliere un pezzo per montarlo su un’altra automobile.

Per il cristiano credente, l’anima spirituale immortale non è un’invenzione dei preti o di alcuni filosofi, fatta propria dalla religione cattolica per tenere buoni i fedeli, ma la crede una realtà alla quale informa la propria vita. Ora è chiaro che l’anima si mantiene pura, oppure si contamina, in conseguenza delle pulsioni dell’involucro che la contiene: il corpo umano, appunto.

Inconfutabilmente, questo è l’insieme di tutte le membra che lo costituiscono, e in modo unico e irripetibile. Basti pensare alle impronte delle dita, o al DNA. Tutto ciò che la persona possiede al suo esterno, può essere alienato senza che la personalità venga alterata. Non così quando essa si priva sia pure di in dito, per darlo ad un’altra. In questo caso, neppure il ricevente rimane quello di prima: ha qualcosa che è estranea alla sua costituzione.

L’obiezione che un dito in più o in meno non cambia niente, è debole. Infatti, è il principio dell’originalità e “di proprietà” che viene leso. Si apre una breccia. Dopo di che, tutto diventa possibile. Una persona può essere restaurata pezzo per pezzo, e per lei non importano la provenienza e le modalità con cui si sono ottenuti gli organi da trapianto. Si badi bene, non importano per il cieco egoismo misto a cinismo della persona ricostruita, e non per quella saccheggiata: su questa, in questa sede sorvolo, lasciando giudicare il lettore.

Per comprendere bene la drammaticità della mia visione, è necessario che il lettore non consideri il problema alla luce della capacità odierna della scienza dei trapianti. Ma si deve incamminare in avanti verso le future conquiste. Fino adesso si parla soltanto, di trapianto di cervello. Più in là, le parole potrebbero divenire realtà. Allora, immaginiamoci un uomo che, sia pure con finalità sperimentali, abbia ricevuto tutti gli organi trapiantabili, sia vitali che non. Prima aveva le orecchie a sventola e il naso camuso: ora li ha normali. Tra le altre cose, in tempi successivi, ha cambiato anche il cuore e il cervello. Supponiamo che abbia fatto tutto con il consenso della famiglia. Con fattezze alterate, e con sedi dei sentimenti non più originali, quali potranno essere le relazioni con i membri della famiglia di appartenenza? Questi troveranno il riscontro affettivo di prima? Certamente no: a meno che i sentimenti non risiedano in tutto intero il corpo. In questo caso, non un dito, ma neppure un’unghia deve essere rimossa. Ora, tiriamo la conclusione. Se la persona rifatta non è più quella di prima, e, oltre ad essere estranea agli altri, è anche estranea a sé stessa, a che le serve essersi rigenerata corporalmente? Non si sarà, per caso, guadagnata sì l’immortalità, ma a prezzo di una cupa esistenza? Chi sarà realmente, questo corpo arlecchino, e dove sarà trasvolata l’anima sfrattata da un corpo che non le appartiene, tranne che nei dati anagrafici?

L’anima non è fatta per rimanere eternamente in un bunker di carne, reso indistruttibile dalla scienza degli uomini: difficile che si lasci buggerare.

A proposito dell’anima – è immaginario e inverosimile, non Parola di Dio, quanto Dante ci racconta nella sua Divina Commedia. Ma è il pensiero di un grande poeta credente, e mi piace riferirlo.

Nella Tolomea Dante incontra il gaudente frate Alberigo di Ugolino dei Manfredi. L’incontro gli ispira i versi che seguono.

Rispuose adunque: “ I’ son frate Alberigo;

i son quel da le frutta del mal orto’,

che qui riprendo dattero per figo”.

Oh “, diss’io lui, “or se’ tu ancor morto?”.

Ed elli a me:” come ‘l mio corpo stea

nel mondo su, nulla scienza porto.

Cotal vantaggio ha questa Tolomea,

che spesse volte l’anima ci cade

innanzi ch’Atropòs mossa le dea”.

Al lettore incuriosito, segnalo che questi versi sono tratti dal XXXIII canto dell’Inferno.

Se vuol saperne di più, apra il libro e legga: non si annoierà.

Lo ribadisco, la Divina Commedia non è il Vangelo, e ciò che contiene è solo frutto della fervida fantasia di Dante. Del resto, anche tutto il mio discorso – che non trova riscontro nella Sacra Scrittura – è un parto di fantasia. Ma, giocando giocando, un dubbio mi assale: e se nelle mie farneticazioni ci fosse qualcosa di vero? In tal caso la Chiesa non si sta dimostrando dormiente sul problema trapianti? Il silenzio prudente che a tutt’oggi ha mantenuto, non assomiglia al timore di mettersi in urto con i potentati sanitari che hanno interesse più al loro redditizio lavoro, piuttosto che alla buona salute del prossimo?

Se si pensa al progetto sulla vita umana in generale che l’uomo del terzo millennio sta portando avanti, non si può fare a meno di rimanere sgomenti. Clonazione, fecondazione in provetta, uomini/porci ad uso trapianti, uomini/muli per i lavori più faticosi, bambini con tre o più genitori, vecchie con un piede nella fossa che diventano madri. Deplorevoli oltraggi alla vita e a Colui che l’ha concepita.

Com’è possibile tanta protervia? Com’è possibile che un essere fatto di fango, pur così avanzato nelle conquiste scientifiche – tuttavia incapace di dare la vita, sia pure a un piccolo organismo vivente, quale è un virus – possa comportarsi con tanta arroganza da stravolgere il progetto del Creatore? ‘Polvere sei e polvere ritornerai’, lo abbiamo dimenticato? Ce lo rammenti la Chiesa e ricordi a sé stessa che Dio ha cacciato l’uomo, dopo la prima disobbedienza, dal giardino di Eden, pronunciando queste parole: “Ecco che l’uomo è diventato come uno di noi, conoscendo il bene e il male! Ed ora ch’egli non stenda la sua mano e non prenda anche dell’albero della vita, sì che ne mangi e viva in eterno!”.

Pronunziate queste parole, il Signore Dio pose davanti al giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante per custodire l’accesso all’albero della vita. Sembra che Egli si sia riservato il copyright, sulla vita!

9 settembre 2001

Rielaborato il 23 – agosto – 2012 Antonio Dovico

Considerazioni differite, maturate a 11 anni di distanza.

Rabbrividisco quando qualcuno in attesa di un organo da trapiantare nutra ed esprima la speranza che la buona sorte gli faccia ottenere al più presto l’ “oggetto” desiderato. Cinismo a 24 carati.

Spesso la invocata “buona sorte” è stata “cattiva” con chi la propria vita giovane e dinamica l’ha perduta senza preavviso per sé e per i propri cari, sull’asfalto, in un groviglio di lamiere contorte. Sono passati più di 20 secoli da quando vigeva il motto: “Mors tua vita mea”. Tutto come allora: la tua morte è la mia vita.

Ancora un’altra considerazione. Davvero è giusto che, a livello di pensiero filantropico, il pur sacrosanto interesse per salvare una vita “naturalmente compromessa” dall’età, o da varie patologie possibilmente congenite, debba prevalere sulle prevedibilissime dinamiche criminose “stimolate” dalla pratica dei trapianti? Solo per evitare di straripare non vado oltre.

Condivise le mie riflessioni, non sarebbe prioritario tenere conto della presenza di una criminalità organizzata spietata, che certamente non si commuove per il pianto di un bambino strappato all’amore materno, considerato che i suoi preziosi organi saranno venduti a peso d’oro a infami commercianti al servizio di medici senza scrupoli, bramosi di ricevere larga ricompensa per il servigio reso “a chi può?”. Caccio indietro il pensiero, quando mi viene in mente l’archetipo vivente di “uno che può”!

Capo d’Orlando 24 agosto 2012

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