Antonio Dovico – L’articolo 18, se è vero che era un ostacolo per il licenziamento per giusta causa, andava abolito, a causa dell’abuso che si fa in Italia di una legge con finalità protettiva, della quale approfittano i disonesti. L’imprenditore è il medico dell’azienda che egli stesso gestisce. Deve tenerla sotto osservazione con cuore e cervello, perché non si ammali. I due organi in sinergia assicurano la buona salute, condizione ottimale per assicurare prodotto di qualità e profitto soddisfacente. Non deve essere solo medico, l’imprenditore, ma tante altre cose insieme, e su tutte emerge la necessità di conoscere bene il rigore dei numeri. Il numero degli operai, per esempio, che gli servono stabilmente, e anche “occasionalmente”. Non meno del necessario, e poco poco più, per “sedere in panchina”, mutuando efficacemente la prassi del calcio.
Da medico, l’imprenditore deve misurare la giusta pressione della forza lavorativa, che , lo chiarisco meglio, non deve essere anemica e neppure pletorica. Nessuno meglio di lui, che vigila sulla salute della propria azienda, sa come mantenerla sana. Interventi dall’esterno con leggi coercitive, infirmano l’efficienza dell’azienda, riducendone la redditività con conseguente deperimento graduale. Passo passo, può condurre alla cessazione dell’attività. Se non ci sono sobillazioni e intrusioni esterne, si può instaura un rapporto di pace e concordia, tra proprietà e maestranze tale, da favorire ottima e abbondante produzione. Risultato conseguente: più dividendi per tutti. I padroni sono tutti cattivi, e licenziano gli operai se non sono protetti dalla legge? Balle! Licenziano i parassiti incalliti, e Dio sa se ce ne sono. I buoni e coscienziosi operai li licenziano quando sono in sovrannumero, e non c’è più trippa per i gatti. E possiamo essere certi che l’operazione non si fa a cuor leggero, ma con le lacrime agli occhi, qualche volta. Quando chiude un’azienda è un lutto per la proprietà e per i dipendenti, ma anche per il benessere economico, limitatamente all’area circostante. In un’area intensamente industrializzata, la massa di lavoro disponibile non si disperde, quando chiude una singola azienda, perché emigra in altre aziende. Tuttavia quando un’azienda chiude, è sempre una perdita per la collettività. Più aziende esistono più idee innovative nascono. Il lavoro preistorico consisteva nel coltivare la terra e nell’esercizio della pesca. Da queste attività primarie scaturiva la necessità di ideare e costruire attrezzi idonei alla bisogna. Si metteva così in moto la “macchina mentale” che progettando e costruendo cose nuove, allargava i settori di lavoro, favorendone lo sviluppo. Dai primordi ad oggi, il processo di sviluppo delle attività lavorative, non può essersi mai allontanato da questo criterio, per la forza contingente del medesimo.
Indipendentemente dal luogo nel quale il lavoro si sviluppa, non si può mettere in dubbio che la scintilla iniziale scocca sempre nella mente dell’uomo, si tratti dello stuzzicadenti, oppure dell’astronave.
Dieci aziende impegnate segretamente nella costruzione di una bicicletta moderna, presenteranno tutti una bicicletta che assolve bene alla funzione, anche se con caratteristiche differenti. Ma una tra tutte avrà un particolare tecnico o stilistico, che la fa preferire alle altre. Effetto salutare della competizione industriale che dà la spinta per fare sempre meglio. Dal mio ragionamento si evince che se la vendita di un prodotto langue, nella testa di qualcuno si può sviluppare un’idea originale che risveglia il mercato. Da questo consegue un riverbero benefico nell’economia generale. La ditta che offrirà il prodotto più appetibile, conquisterà la più larga fetta di mercato, e per soddisfarla assumerà operai per quanti gliene servono. Pochi o tanti avranno perduto il lavoro in aziende concorrenti, ma lo troveranno felicemente in quella che al momento prospera, grazie al prodotto che tira. Quanto durerà la situazione? Imprecisabile, per via della gara a chi fa meglio che si è innescata, e della salubrità del mercato. Emerge da questo che la massa di lavoro globale può essere aumentata, nonostante qualche azienda sia stata costretta a licenziare. Effetto: il lavoro non ha più fissa dimora, ma diviene “emigrante”. Quanto affermo è frutto di due anni di esperienza diretta, vissuta da me in Australia dal 1968 al 1970. Circostanza incredibile, quando all’epoca in Italia era rivoluzione per avere aumentati i salari, in quel continente le ditte italiane pagavano gli operai più di tutte le altre, per accaparrarseli, essendo essi colà di numero inferiore al necessario. Dal mio racconto si capisce che nel nuovo continente non esisteva l’articolo 18, e l’azienda priva di commesse, potendo licenziare, non si dissanguava pagando a vuoto gli operai. Rimanendo in vita ritornava in attività non appena riceveva una commessa. Ordinaria fisiologia del soggetto “lavoro”.
Alla luce di quanto scritto, corrispondente anche al mio pensiero – oltre che all’esperienza – mi domando: Renzi ha esperienze dirette in materia, conosceva bene le dinamiche/problematiche del lavoro, per andare avanti con quel programma dal nome straniero irritante e incomprensibile per i più? L’articolo 18 era una spina nel fianco, e andava abolito senza esitare. Bastava che i datori di lavoro fossero super tartassati, costretti pure a garantire tante altre assurde tutele per i dipendenti. L’azienda viene considerata alla stregua di un istituto di assistenza e beneficenza, mentre nella pratica é un agone dove si combatte per strappare coi denti lavoro ai concorrenti vicini e lontani. Non di rado, una burocrazia vessatoria e cialtrona ci mette del suo per sfibrarne le energie. Insomma, noie a grappolo, che finiscono per raffreddare l’entusiasmo per il lavoro. Pastoie di tutti i tipi. Mi richiama alla memoria la giumenta impastoiata. Non può correre verso il pascolo per sfamarsi, perché ha i piedi legati. Quindi l’eliminazione dell’articolo 18, ci poteva stare, meglio se accompagnata da altri provvedimenti liberatori. Le aziende avrebbero respirato, invogliandosi a inventare prodotti nuovi per rilanciarsi. Invece cosa fa il taumaturgo fiorentino, attinge 12 miliardi dalI’ I N P S – tanto per uscire dal vago – cassa dei pensionati, e li versa alle aziende per rianimarle. Mi richiama alla mente il focolare rustico della mia fanciullezza. Quando il ceppo era ridotto in cenere, si rianimava la fiamma con la paglia.
Fuoco di paglia, di proverbiale notorietà. Nella similare operazione denominata “Jobs Act”, s’impone un aggiornamento : FUOCO DI BANCONOTE. E dopo? E dopo…continueremo. Old italian way!