Gianfranco Jannuzzo, una vita dedicata all’arte e alla recitazione


  • Foto Edo Covone —

Dopo tante interviste fatte a Gianfranco Jannuzzo, quando pensi di sapere tutto di lui, ecco che ti accorgi che c’è ancora qualcosa di nuovo che ti manca della sua storia di attore e di uomo. Sì, perché lui è personaggio ricco di storie di vita, che s’intersecano al suo lungo percorso professionale di attore dalle grandi capacità artistiche. Attore – gentiluomo, Gianfranco Jannuzzo in questi giorni si trova a Torino, dove con la sua ricca Compagnia di attori, tra i quali c’è anche Debora Caprioglio, al Teatro Alfieri presenta la commedia “Alla faccia vostra” di Pierre Chesnot e la regia di Patrick Rossi Gastaldi. Un appuntamento teatrale divertente, con un cast di tutto rispetto. Infatti, oltre alla già citata Debora Caprioglio e Gianfranco Jannuzzo, reciteranno Antonella Piccolo (attrice davvero interessante e tutta da scoprire, nello scenario proposto dal teatro italiano), Roberto D’Alessandro, Antonio Rampino, Erika Puddu, Antonio Fulfaro, mentre la sceneggiatura è affidata ad Andrea Bianchi, il disegno luci è di Mirko Oteri e i costumi sono di Valentina De Merulis. Ma ci piace anche citare il delegato di produzione Manuela De Baggis, l’assistente alla regia, Manuela Lomeo, l’assistente scenografa Giorgia Visani, il disegno di Paolo Purificato, l’elettricista Stefano De Vito, la sarta Martyna Modzelewska e infine il Service e Trasporti affidato a Show Music Service. Tutte persone che lavorano con dedizione e senso di appartenenza, ma che spesso non godono di visibilità. Giusto quindi citare il loro sforzo produttivo, che è sempre il frutto del successo degli attori che ammiriamo sul palcoscenico. Detto questo, ritorniamo a Gianfranco Jannuzzo e al nostro incontro per un’intervista. Sempre affabile e cortese, Jannuzzo è riconosciuto da tutti come attore – gentiluomo, ed è l’emblema dell’artista di alta scuola che ha un curriculum di straordinaria esperienza televisiva, cinematografica e teatrale. Con lui abbiamo divagato e appreso cose nuove sul suo lavoro e sul pensiero filosofico della vita contemporanea, che è così piena di contraddizioni. Passato e presente s’intrecciano ad una vita spesa per il teatro, che è passione, che è calore, che è emozione senza fine. Ieri come oggi, proprio come fosse sempre la prima volta Questo è Gianfranco Jannuzzo.

Dopo “Lei è ricca, la sposo e….l’ammazzo”, come nasce l’idea di portare sul palcoscenico la commedia di Pierre Chesnot “Alla faccia vostra”.

Nasce dall’esigenza di trovare un prodotto interessante, che potesse raccontare al pubblico una storia senza il pericolo di deluderlo. Magari la volta precedente hanno sorriso e ti hanno manifestato il loro affetto. Con la commedia “Alla faccia vostra”, si parte con una collaudata coppia formata da me e Debora Caprioglio, che da tre anni lavora insieme. Nel nostro ambiente teatrale, che non è sempre fatto di rose e fiori, nel senso che ci sono tante ipocrisie dovute al savoir vivre, Debora mette d’accordo tutti. Lei è una persona seria, una ragazza che non ho mai sentito parlare male di nessuno. A lei non viene neanche in mente il pettegolezzo, perché non è insito nel suo DNA. Io che sono sempre molto attento che la mia Compagnia sia come una famiglia e si proceda nell’armonia, Debora è una mediatrice formidabile. Proprio lei che potrebbe vantarsi perché ha un nome di richiamo ed è una diva, non ha nessun atteggiamento divistico e quindi finisce per essere l’esempio eclatante di intelligenza e umiltà. Il nostro non è un mestiere da montarsi la testa, ma è da farsi con grande umiltà. Tu, Salvino, hai citato il mio grande maestro e amico Gigi Proietti, che quando parla dice delle cose intelligenti; sono perle di saggezza che danno la dimensione di intelligenza, alta scuola e grande umiltà. Ricordo quando cominciai a frequentare la sua scuola d’arte. Ero ragazzo e chissà quali aspettative avevo per conquistare il mondo e diventare chissà che cosa. Ma Gigi aveva capito che gli atteggiamenti degli attori devono essere improntati sulla serietà, anche se quando c’era da ridere lo facevamo insieme. Poi, però, quando c’era da lavorare non c’erano scuse e si andava avanti ore e ore con passione e tanta umiltà. Oggi è il mio stesso atteggiamento di lavoro. E’ la preziosa eredità che metto in atto assieme ai miei compagni di lavoro. Nella compagnia c’è un nucleo centrale e un’Antonella Piccolo che fa la governante come nell’altra commedia, ma in modo diverso. C’è poi Antonio Fulfaro e tre acquisizioni come il mio vecchio amico Roberto D’Alessandro che è un attore bravissimo, poi Erika Puddu, anche lei molto brava, spiritosissima, anche se molto timida e poi Antonio Rampino nelle vesti del vicino di casa. Ecco, credo di avere citato tutti. La nostra è una famiglia. Tutti lavoriamo con senso di appartenenza, professionalità e grande passione”.

Partire dall’Alfieri di Torino. Un caso o una specifica volontà?

Tu sai quanto io sia legato a questa città e a questo teatro in particolare. Il mio percorso teatrale è legato a una storia bellissima di amicizia tra due grandi del teatro italiano che sono stati Pietro Garinei e Giuseppe Erba. Ricordo che Garinei mi prese in un piccolo teatrino romano dell’orologio e mi portò al Sistina, facendomi fare la favola di Cenerentola al maschile. Lui aveva investito su di me tutte le sue energie e le risorse economiche, anche se io venivo dalla scuola di Proietti e avevo recitato in teatro Shakespeare, Pirandello, ma ero uno sconosciuto e non avevo ancora un nome tale da poter richiamare delle persone in teatro. Sì, avevo fatto delle bellissime esperienze con Valeria Moriconi, Gabriele Lavia, Turi Ferro, ma non avevo ancora un nome di richiamo. Così, dopo avere avuto il grande successo di “C’è un uomo in mezzo al mare” al Teatro Sistina, Garinei chiamò Giuseppe Erba e chiese notizie su di me. Così mi riempì il teatro per dieci giorni consecutivi, fidandosi del giudizio di Erba. Io entrai praticamente in un miracolo, proprio in un Teatro che fa paura a tutti gli attori. E quindi, come posso dimenticare un amico vero e caro come Giuseppe Erba?”.

Da quale rapporto sei legato al pubblico torinese?

Torino è la più grande città della Calabria e la seconda città della Sicilia. Ma a parte gli scherzi, la cosa che mi rende più orgoglioso sono i torinesi, sabaudi veri che in questi anni si sono affezionati e mi hanno dimostrato il loro affetto a prescindere dalle connotazioni di tipo regionale. Sì, perché se è vero che sono orgoglioso di essere siciliano è anche vero che ho il grande senso dell’onore per essere italiano”.

Tu e Debora Caprioglio, una coppia artisticamente perfetta. Come nasce questo connubio?

Debora fa parte della Compagnia Molière. Qualche tempo fa mi avevano cercato per fare insieme l’Anatra all’arancia. Ma in quel periodo ero impegnato con Pietro Garinei, per cui ho rinunciato dicendo che l’avremmo fatto prima possibile. Poi, tra una cosa e l’altra, non se ne fece nulla. L’anno scorso, invece, avevo pensato di fare una commedia da solo e Debora con la Compagnia Molière volevano fare questo adattamento al film “Lei è ricca, la sposo…..l’ammazzo”. Così i produttori hanno chiesto la mia disponibilità al progetto. Io ho subito accettato, e così è cominciato questo rapporto professionale con Debora”.

Dal laboratorio di Esercitazioni Sceniche diretto da Gigi Proietti, a oggi. Cos’è cambiato in Gianfranco Jannuzzo?

Per mia fortuna non è cambiato niente. Sembrerebbe presuntuoso, ma è così. L’atteggiamento che era alla base di quella formazione di attori che aveva in mente Gigi, era qualcosa di universale. Infatti, per entrare a far parte di quella scuola, dovevi saper suonare uno strumento, saper recitare una poesia, raccontare una barzelletta, cantare con un maestro di musica. Quella era la filosofia di una scuola che preparava a saper far tutto ed essere il più eclettico possibile. Ci sono poi certi media che pur sbagliando, danno un’etichetta a ciascun attore che può essere comico o drammatico. Capacità limitate, perché nell’arte teatrale o cinematografica, un grande attore deve saper far tutto e bene”.

C’è una commedia, un attore o un’attrice con cui hai recitato, cui sei particolarmente legato?

Sono davvero tanti. Ricordo Rossella Falk, Turi Ferro, Maurizio Scaparro, Valeria Moriconi, Gigi Proietti. Tutti personaggi a me cari”.

Televisione, cinema e teatro. Tre momenti artistici della tua vita professionale. Cosa è rimasto in te, dell’esperienza vissuta tra televisione e cinema?

Sono tre modi diversi di comunicare. Mentre nel teatro questo modo di comunicare con il pubblico è immediato, il cinema ti fa sognare e la televisione in diretta che entra in tutte le case, ti responsabilizza a una preparazione di base importante, perché in quel caso non puoi sbagliare. Con tutta sincerità, ti devo dire che la televisione mi manca moltissimo. E’ colpa mia se non l’ho più fatta, perché avrei potuto benissimo mediare tra cinema, teatro e televisione. Invece, sono stato molto ferreo sul pensiero che se la televisione non potevo farla come volevo io, allora sarebbe stato meglio rinunciare. Ho sbagliato e me ne sono anche pentito, perché in realtà un piccolo compromesso lo devi sempre trovare. Tuttavia, c’è sempre tempo. Mai dire mai”.

Agrigento, la città siciliana che ti ha dato i natali. Che ricordi hai di quel periodo in cui a soli 12 anni ti sei trasferito a Roma con la tua famiglia?

E’ la storia bellissima di una famiglia italiana. Mio padre che era un’insegnante di Lettere, chiese ad Agrigento una sede universitaria per i suoi bambini. Una famiglia di cinque figli, di cui io sono il più grande. Ricordo che papà ci riunì assieme alla mamma, nonostante io avessi 12 anni e i miei fratelli fossero ancora più piccoli di me. Papà ci disse che ci saremmo trasferiti a Roma per il nostro futuro, anche se noi, vista la nostra tenera età, a mala a pena capivamo il significato. Fu un momento importante della vita della mia famiglia, perché poi io decisi di fare questo mestiere, avendo più chance di quanto non ne avrei avuto se fossi rimasto ad Agrigento. Oggi, mia sorella fa l’insegnante, l’altro fa l’architetto, un’altra lavora nella redazione di Radio Montecarlo piuttosto che a La7. Quindi una famiglia unita che ha avuto molte chance”.

Questa nostra Italia così piena di contraddizioni e problemi sociali, a cosa ti fa pensare?

Uso spesso la metafora del mio essere siciliano con gli italiani. Gli agrigentini siamo i meno provinciali dei siciliani, ma lo siamo perché c’era Pirandello, figura storica e grande intellettuale. Ma ad Agrigento, così come in tante altre parti d’Italia, siamo abituati a lamentarci e non far nulla per cambiare le cose. Il nostro è un bellissimo Paese in cui anche i politici potrebbero e dovrebbero fare di più per dare fiducia a un popolo che ha bisogno di credere nelle Istituzioni. Invece, troppe volte davvero, il mestiere del politico che potrebbe essere considerato il più nobile del mondo nel rappresentare il popolo, con questo loro modo di fare diventa uno scambio tra i diritti e i favori da scambiare. Tutto ciò ha disilluso le aspettative della gente. Si potrebbe fare di più per il futuro di questa nostra Italia”.

Ritornando al teatro. Dopo tanti anni, ti emozioni ancora quando entri in scena?

Io, ancora adesso sono trepidante come un bambino. Mi emoziono sempre come il primo giorno in cui sono salito sul palcoscenico”.

Gianfranco, ti è mai capitato di recitare in un teatro non proprio pieno? Cos’hai provato?

In quel caso devi avere la forza e l’onestà intellettuale di fare le stesse cose che faresti se il teatro fosse pieno. Si, mi è successo una volta a Sarno. Ero giovane e mi aspettavo un teatro pieno di abbonati. Ricordo che quel giorno lo spettacolo non era previsto, nonostante il mio arrivo. Per quell’errore sono arrivate soltanto 10 persone, ed ho fatto lo spettacolo solo per loro”.

Per finire, Gianfranco. Dopo Torino, dove andrai con la tua Compagnia Teatrale?

Andremo a Conegliano, poi in Puglia, nel Molise e poi torneremo al Teatro Manzoni di Milano per tutto il mese di Marzo. Lì chiuderemo la nostra stagione”.

Salvino Cavallaro

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