Il Natale del nostro tempo


Un giorno, quando guardando dalla finestra non vedrò più guerre, prenderò un albero lo vestirò di stelle e quel giorno sarà Natale”. Ci piacerebbe raccontare il bene della natura umana, ma tra guerre, bombe, carneficine, intimidazioni, pericolo di attentati, persone sul lastrico che la fanno finita con la vita per avere perso ogni cosa, il Natale del nostro tempo ha sempre più una valenza materialista, ed è sempre meno romanticamente spirituale. Lo chiamavano il tempo in cui ci si vuole più bene. Era la magia del Natale, era sentirsi più uniti, buoni, era il senso di famiglia. Si aspettavano i doni apportatori di sentimenti, di carezze, di pensieri anche piccoli ma di profonda tenerezza. Il presepe era ed è il simbolo della nostra cristianità, della nascita di Dio fatto uomo che sapeva, (sa?) accomunarci attraverso la fratellanza. Ma qual è il vero senso del Natale di oggi? Riflettendo su quanto accade nel quotidiano, si può definire una pratica da smaltire prima possibile, un qualcosa che finisca presto per non farci pensare quanto sia stridente l’accadimento del presente con l’anima di un’atmosfera magica, ovattata, bella. Ma il Natale è in ognuno di noi, turbati come siamo dalle notizie che mai nulla hanno a che fare con i valori della vita, quelli che ci hanno insegnato fin da piccoli e che adesso appaiono alla deriva di un mare in piena tempesta. E noi, che aspettiamo da troppo tempo quella quiete dopo la tempesta di leopardiana memoria, spesso ci chiediamo se tutto ciò non è credere in qualcosa che non ci sarà mai, oppure, nascondendoci dietro un dito, pensiamo che forse è meglio sperare, piuttosto che disperare. Già, Natale. Guardiamo l’albero carico di festoni, di palline multicolori, di luci che ci illuminano d’immenso e ci illudiamo che il mondo sia lì, tra l’intermittenza di magiche luci led e i doni che scartiamo frettolosamente per trovare chissà che cosa. E se Babbo Natale avesse messo sotto l’albero delle scatole vuote? Beh, forse avrebbe voluto significare metaforicamente ciò che è il mondo di oggi, ciò che siamo diventati adeguandoci sempre più all’esteriorità dell’apparire, non tenendo più conto di ciò che significa essere. Talvolta ci piacerebbe migliorarci per dare l’esempio, per tentare di cambiare un mondo da consegnare agli uomini di domani. Un mondo più ricco di rispetto e privo di aridità. Ma è solo speranza, proprio quella di cui facevamo cenno prima nascondendoci dietro un dito. Eppure la chiamano retorica, quel sentimento ricco di buoni propositi che non si ha neppure più il tempo di farne, perché appena ci pensi cadi subito in contraddizione. Ma forse è meglio non pensarci. E’ Natale. Viviamolo serenamente pensando ad oggi, alla nostra fortuna di essere accanto ai nostri affetti più cari, al calore della nostra famiglia e alla consapevolezza di vivere nel nostro piccolo, ciò che il mondo non sa capire in grande.

Salvino Cavallaro

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