Come in un sogno


   – Antonio Dovico –  Il giorno di tutti i Santi, poco prima che si facesse buio, eravamo rimasti in pochi nel cimitero di Capo d’Orlando, e passando davanti alla chiesa vidi che non vi era anima viva.
Erano passati pochi minuti, ed ero ancora nelle vicinanze quando sentii un canto struggente, a gola spiegata, provenire dalla chiesa.
   Totò, nella sua più famosa poesia, in una situazione quasi analoga, si domanda :
“Stongo scetato… dormo, o è fantasia? Ate che fantasia; …”  (‘a livella).
  No, non era fantasia. Semmai illusione; per metà. L’intensità del canto, la passione religiosa, mi avevano fatto pensare alla presenza di un’assemblea. Ritornai indietro per sincerarmi, e con mia grande sorpresa, vidi tra i banchi un bambino di sette-otto anni, solo, che tenendo in mano un mazzo di fiori, cantava con lo sguardo rivolto al Crocifisso.
Unica persona vivente ad ascoltarlo, una signora ferma sulla soglia. Impassibile: sembrava una statua. Avevo creduto che fosse la madre del bambino e che all’uscita lo avrebbe abbracciato. Invece, niente. Credetti di sopperire all’orfanità del bambino chiedendogli se potevo dargli un bacetto. Rifiutò, girando la testa sul collo, e a passo spedito si avviò dove … lo sapeva lui.
“Penzaje: stu fatto a me mme pare strano”  (op. cit.).
 Anch’io pensai : questa donna è veramente una donna viva o è l’effige incorporea della destinataria dei fiori? E … e …il bambino è veramente tale, oppure è un angioletto che ha assunto sembianze umane per insegnare a me, entusiasta ‘scolaro’ dei piccoli?  I piccoli, sia che siano bambini, o piccoli nel senso di adulti adamantini, sono quelli che ancora non hanno contaminato la purezza del proprio cuore, e da questo traggono i tesori che, unici, possono essere offerti a Dio per implorarne la grazia.
“Oguno ll’adda fa’ chesta crianza; ognuno adda tenè chistu  penziero,” (op. cit.).
   Tutti dobbiamo ricordarci dei nostri morti: come piace a noi. Col pensiero o colla preghiera. Con una lampada perpetua o con un mazzo di fiori.
 Rimembranza tangibile, quella dei fiori, e visibile. Attestazione certa d’imperituro affetto verso l’estinto. Qualche maligno  può pure pensare che dietro l’apparenza ci può essere ipocrisia o ostentazione di florida finanza, considerata la sontuosità del mazzo o la qualità dei fiori: affari suoi. A me, l’angelo-bambino-maestro, ha stimolato una riflessione. La rivelo. I fiori che il fanciullo andava a deporre sulla tomba del destinatario, non davano affatto l’impressione dell’abbondante foraggio che si deposita nella mangiatoia degli animali. Non erano neppure gli stessi fiori naturali di prima.
   Del canto – bello – del bambino, non ho riconosciuto una nota e neppure una sillaba. Ma alla luce dell’ispirazione che aveva avuto, passando prima dal Crocifisso, debbo arguire che anche le parole  dovevano essere angelicamente ispirate, belle e sincere, per essere subito accolte ed esaudite.
    Certamente quei fiori offerti prima al Crocifisso erano stati spogliati della materialità delle cose della terra, per assumere l’essenza spirituale che consente la trasvolata verso il cielo. Colà i tesori sono tanti: ma non saranno mai troppi. Il Paradiso ne è avido.
                                                                                                                 Antonio Dovico

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