Diego Armando Maradona e l’amore per Napoli


 

di  Salvino Cavallaro – 

 

Napule è mille culure
Napule è mille paure
Napule è a voce de’ criature
Che saglie chianu chianu
E tu sai ca’ non si sulo

Napule è nu sole amaro
Napule è ardore e’ mare
Napule è na’ carta sporca
E nisciuno se ne importa
E ognuno aspetta a’ sciorta

Napule è na’ camminata
Int’e viche miezo all’ate
Napule è tutto nu suonno
E a’ sape tutto o’ munno
Ma nun sanno a’ verità

Napule è mille culture
(Napule è mille paure)
Napule è nu sole amaro
(Napule è addore e’…
 

Mi piace cominciare così l’articolo dedicato a Diego Armando Maradona, con il testo della canzone di Pino Daniele che meglio di ogni altro racchiude il forte rapporto che il genio del pallone argentino ha avuto con la città di Napoli. Sì, perché Napoli é mille colori, paure e anche la voce dei bambini che sale lentamente, mentre sai di non essere solo. Ma Napoli è anche un sole amaro, odore di mare, una carta sporca e nessuno se ne importa. Forse anche per questo Maradona ha rappresentato meglio di ogni altro il senso di una città meravigliosa e piena di contraddizioni, così com’è stato lui, campione di calcio numero uno al mondo che per certi versi non si è ricordato di essere anche un uomo. Ma non voglio accodarmi alla lunga schiera di moralisti che in questi giorni fanno suonare squilli di tromba sulle manchevolezze e sulle fragilità di Diego Armando Maradona. No, non lo ritengo giusto, anche perché ritengo che nessuno di noi possa vantare il privilegio di scrutare e giudicare la vita altrui. Tuttavia, penso che nel mio ruolo di giornalista sportivo ci debba essere l’intimo rammarico, semmai, di non avere ricordato a Diego il suo essere uomo, oltre avere scritto di lui, assieme ad altri colleghi,  titoloni eccessivi come – “Sei un Dio” – “Sei una stella” – oppure – “Sei il più grande di tutti”. Già, magnificenze che ci stavano ma che forse gli hanno fatto girare la testa, infervorati e pieni d’amore com’eravamo delle sue giocate, dei suoi tocchi di classe, dei suoi gol e anche quello fatto con la mano, che abbiamo definito come “La mano de Dios”. Eravamo giustamente infatuati e la nostra penna scorreva fiumi d’inchiostro capace di far sognare i tifosi di una Napoli che con Maradona ha avuto l’orgoglio di non sentirsi inferiore a nessuno. Ma non siamo stati in grado di dirgli, di ricordargli la cosa più importante: “Diego, sei un uomo e non solo il calciatore più forte al mondo”. Sarebbe stato importante scriverlo e forse non avrebbe contribuito a farlo cadere nella dipendenza delle sue fragilità. Ma abbiamo scelto l’evanescente, il fatuo, scrivendo titoloni che hanno fatto sviluppare la fantasia degli amanti del pallone e di una Napoli che con lui ha vinto il primo scudetto dopo 60 anni di storia. “Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli” – disse Maradona appena arrivato nella città campana – “Sì, perché loro sono com’ero io quando vivevo a Buenos Aires”. Ed è stato così, perché i vicoli, le strade e i murales di Napoli sono tappezzati della sua icona, come se fosse stato l’interprete e il salvatore di tutto ciò che da sempre hanno detto e mai fatto per questa città. E i napoletani non dimenticano, amano con il cuore, sono passionali, ringraziano e cantano: “Oh mamma, mamma, mamma, sai perché mi batte il corason? Ho visto Maradona, ho visto Maradona….”. Un rapporto di indescrivibile passione che si è protratto da padre in figlio, di generazione in generazione, in una città in cui attraverso il pallone si sono intersecati molti motivi di natura sociale che hanno invaso una certa letteratura partenopea. Ecco, direi che questo è il modo migliore per ricordare oggi chi non c’è più, chi ha capito meglio di ogni altro la città di Napoli e il Napoli, che del pallone ne ha fatto una ragione d’essere. Proprio come Diego Armando Maradona.

 

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