In occasione dell’odierna ricorrenza della grave strage di Capaci in cui furono trucidati Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della scorta, pubblichiamo significativi stralci dell’audizione di Claudio Martelli, Ministro della Giustizia socialista d’allora, alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta


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      — A cura di Giuseppe Stella —   In premessa giova ricordare, come per una singolare e curiosa “coincidenza”, che Le tappe dell’inchiesta “Mani pulite” s’intrecciano con il periodo della  strage di Capaci… e non solo con quella.

Di seguito pubblichiamo le date in cui imperversò quella stagione.  Fonte: “gNews Giustizia – newsonline, Quotidiano del Ministero della Giustizia”.

17 febbraio 1992 – Milano: Antonio Di Pietro, magistrato del pool che successivamente fu definito “Mani pulite”, fa arrestare Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, colto in flagranza di reato, mentre si era appena intascato 7 milioni di vecchie lire da una ditta di pulizia monzese, che si comprava in quel modo un appalto

22 aprile 1992 – Milano: vengono arrestati con un unico blitz 8 imprenditori. Sono nomi di livello locale, tra i quali il più noto è Clemente Rovati, sua è la Edilmediolanum che guida la cordata dei costruttori del terzo anello dello Stadio di San Siro (costato 180 miliardi, contro un preventivodell’87 di 64)

28 aprile 1992 – Vengono arrestati Epifanio Li Calzi (architetto ed assessore comunale all’edilizia di Milano) e Sergio Soave (già vice presidente della Lega delle Cooperative), entrambi del Pds

1 maggio 1992 – Avvisi di garanzia vengono inviati ai parlamentari socialisti Carlo Tognoli (Sindaco di Milano) e Paolo Pillitteri (socialista, dopo Tognoli, Sindaco di Milano, cognato di Bettino Craxi)

6 maggio 1992 – Vengono arrestati Massimo Ferlini (Pds), Maurizio Prada e Gianstefano Frigerio (entrambi della DC) e Enzo Papi della Cogefar (FIAT)

13 maggio 1992 – Viene inviato il primo avviso di garanzia a Severino Citaristi (tesoriere della DC)

2 settembre 1992 – Il primo evento doloroso si abbatte su tutta la già bruttisima vicenda: Sergio Moroni, deputato socialista, accusato di aver incassato tangenti, si suicida, dopo aver inviato una lettera al presidente della Camera dei deputati, dichiarando di aver agito per conto del suo Partito. Il suo gesto e lo scritto lasciato alzano il velo sul sistema di finanziamento dei partiti

15 dicembre 1992 – Bettino Craxi, segretario del Partito socialista, riceve il primo avviso di garanzia

14 gennaio 1993 – Il Parlamento dà il via libera a 12 autorizzazioni a procedere. Tra gli inquisiti, Severino Citaristi (tesoriere e segretario amministrativo della DC), Carlo Berini (DC, ex ministro dei Trasporti) e Sisinio Zito (socialista)

7 febbraio 1993 – Si costituisce il faccendiere Silvano Larini, il quale inizia ad accusare Bettino Craxi e Claudio Martelli per il “conto protezione” in Svizzera

10 febbraio 1993 – Claudio Martelli, Ministro della Giustizia, raggiunto da un avviso di garanzia per bancarotta fraudolenta, si dimette dal Governo e dal Partito Socialista Italiano

11 febbraio 1993 – Bettino Craxi, travolto dallo scandalo, si dimette da Segretario del PSI davanti all’Assemblea nazionale del partito

19 febbraio 1993 – Enzo Carra, portavoce di Arnaldo Forlani (DC), viene arrestato per falsa testimonianza

22 febbraio 1993 – Francesco Paolo Mattioli, FIAT, viene arrestato

 

25 febbraio 1993 – Giorgio La Malfa, raggiunto da un avviso di garanzia per violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti, si dimette da segretario del Partito Repubblicano

1 marzo 1993 – Primo Greganti (PCI-Pds), il Compagno G, viene arrestato

11 marzo 1993 – Francesco Pacini Battaglia si costituisce, svelando 500 miliardi di fondi neri ENI

15 marzo 1993 – Anche Renato Altissimo, segretario del Partito Liberale, riceve un avviso di garanzia e il giorno dopo si dimette

30 aprile 1993 – La Camera dei deputati respinge la richiesta per l’autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi. Quella sera stessa davanti al Hotel Raphael, che l’oramai ex segretario del PSI utilizzava come base quando era a Roma, vi fu una manifestazione di estremo malcontento nei confronti di quello che da molti era considerato  il simbolo del malcostume. Lancio di monetine e di oggetti d’ogni genere  piovvero addosso a Craxi all’uscita dall’albergo

11 maggio 1993 – Viene arrestato l’ex cassiere del Partito Comunista Italiano, Renato Pollini

16 maggio 1993 – Carlo De Benedetti ammette finanziamenti illeciti per 20 miliardi

13 luglio 1993 – Giuseppe Garofano (Montedison) viene arrestato a Ginevra

20 luglio 1993 – Gabriele Cagliari, ex Presidente dell’ENI, si suicida nel carcere milanese di San Vittore, dove era detenuto dal 9 marzo per lo scandalo ENI-SAI. La moglie restituirà successivamente 6 miliardi di tangenti

23 luglio 1993 – Raul Gardini, coinvolto anche lui in Tangentopoli, si suicida nella sua casa milanese. Nel pomeriggio dello stesso giorno viene arrestato Sergio Cusani

2 settembre 1993 – Viene arrestato Diego Curtò, presidente del Tribunale di Milano

28 ottobre 1993 – Parte il processo a Sergio Cusani

4 dicembre 1993 – Renato Altissimo (PLI) e Giancarlo Vizzini (Psdi) fanno le prime ammissioni circa il denaro ricevuto

5 gennaio 1994 – Umberto Bossi, sotto processo, ammette i contributi ricevuti dalla Montedison, ma di non sapere nulla dei 200 milioni ricevuti da Alessandro Patelli (arrestato il 7 dicembre)

11 febbraio 1994 – Viene arrestato Paolo Berlusconi, per aver versato tangenti ai funzionari. Sarà poi assolto in Cassazione

21 aprile 1994 – Anche la Guardia di Finanza viene macchiata dallo scandalo tangenti: 80 finanzieri arrestati e oltre 300 gli imprenditori coinvolti

24 aprile 1994 – Cesare Romiti, numero 2 della Fiat, ammette le tangenti versate in una lettera al Corriere della Sera

28 aprile 1994 – Sergio Cusani viene condannato a 8 anni di reclusione in primo grado

28 luglio 1994 – Paolo Berlusconi viene arrestato e quasi immediatamente rilasciato

3 ottobre 1994 – Giorgio Tradati, prestanome di Bettino Craxi, viene arrestato

21 novembre 1994 – Silvio Berlusconi viene iscritto nel registro degli indagati

 

6 dicembre 1994 Antonio Di Pietro, del pool Mani pulite, si dimette dalla magistratura

Gennaio – Dicembre 1995 – Richiesta di rinvio a giudizio per Silvio Berlusconi. Vengono condannati quasi tutti i protagonisti dello scandalo Enimont

Luglio 1995 – Stefania Ariosto inizia la sua collaborazione con il pool, raccontando come Cesare Previti abbia corrotto alcuni giudici romani

12 marzo 1996 – Viene arrestato Renato Squillante, capo dei GIP romani

15 settembre 1996 – Lorenzo Necci e Francesco Pacini Battaglia vengono arrestati a La Spezia

28 gennaio 1998 – Il Parlamento vota l’arresto di Cesare Previti

7 luglio 1998 – Silvio Berlusconi viene condannato per corruzione in primo grado

19 gennaio 2000 – Bettino Craxi oramai da anni sfuggito alla giustizia e riparato in Tunisia, muore a Hammamet

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Audizione del dottor Claudio Martelli, sui grandi delitti e le stragi di mafia degli anni 1992-1993, in qualita` di ministro della giustizia pro tempore.

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione libera del dottor Claudio Martelli, sui grandi delitti e le stragi di mafia degli anni 1992-1993, in qualita` di ministro della giustizia pro tempore, al quale do’ il

piu` cordiale benvenuto.

L’onorevole Martelli ha vissuto gli anni dei grandi delitti e delle stragi da posizioni di forte rilievo politico e istituzionale, avendo egli ricoperto la carica di ministro di grazia e giustizia dal febbraio 1991 al febbraio 1993. Commissione antimafia 56º Res. Sten. (25 ottobre 2010)

L’Onorevole Martelli chiamo` Giovanni Falcone a dirigere l’ufficio affari penali e con lui stabilı` un’intensa collaborazione che diede luogo a significative conquiste nella legislazione antimafia. Su quella scia, dopo la strage di Capaci, proprio a partire dal decreto che dal compianto Giovanni Falcone prese idealmente nome, furono messe a punto misure di grandissima importanza nella lotta alla mafia. Basti ricordare l’istituzione della Procura nazionale antimafia e l’adozione del regime del 41-bis, le norme sui pentiti e i collaboratori di giustizia, l’istituzione della Direzione investigativa antimafia (DIA).

Ricordo che l’onorevole Martelli e` stato audito dalla nostra Commissione su questi temi in diverse occasioni, precisamente il 18 e 21 dicembre 1992, come risulta dagli atti della nostra Commissione. Piu` di recente – se ben ricordo – a partire da giugno-luglio dell’anno scorso, l’onorevole Martelli e` intervenuto con interviste alla stampa e alla televisione sul tema delle stragi di mafia con particolare riferimento a taluni aspetti della cosiddetta – e sottolineo quest’ultima parola – trattativa tra Mori, De Donno e Ciancimino sullo stesso argomento. Lo scorso 6 aprile egli ha reso anche un’interessante testimonianza dinanzi al Tribunale di Palermo nel procedimento a carico del generale Mori e del suo collaboratore Obinu.

Per tutte queste ragioni, l’onorevole Martelli e` in grado di darci oggi una lettura utile e certamente serena di quelle vicende. Ovviamente, con

uguale serenita` puo` rispondere alle eventuali domande che i colleghi vorranno porgli sui fatti dei quali e` stato autorevole protagonista.

MARTELLI. Signor Presidente, la ringrazio per quello che considero un onore che mi viene fatto, venendo audito in questa Commissione a 18 anni dai fatti dei quali ancora oggi ci occupiamo e a quasi 18 anni dalle precedenti audizioni avvenute in questa  commissione.

Parlerò della la mia principale preoccupazione perche´ era un’epoca in cui cosa nostra faceva un «fatturato» annuo di mille morti ammazzati.

Per avere un’idea dell’immagine degradata del nostro Paese all’estero in conseguenza di questo spadroneggiare di cosa nostra in Sicilia, per non

parlare delle altre organizzazioni criminali (’ndrangheta e camorra soprattutto), raccontero` brevemente un episodio. Il prof. Vassalli, mio predecessore, era stato invitato dal foro degli avvocati parigini a spiegare il nuovo codice di procedura penale che aveva trovato applicazione molto di recente in Italia. Naturalmente, la polemica giornalistica francese tendeva a mettere un po’ in connessione l’impostazione accusatoria e non piu` inquisitoria del nuovo codice con i fatti criminali devastanti che proprio in quei giorni avevano occupato le cronache a Taurianova in Calabria. Ci fu, infatti, un efferato assassinio e la decapitazione in strada di un esponente di una delle cosche, mentre altri giocavano a palla con la sua testa. Queste immagini erano sulle televisioni anche francesi quando venni invitato a parlare del nuovo codice di procedura penale, e la tendenza era quella di collegare. Esposi, comunque, le caratteristiche del nostro nuovo codice;

Quell’esperienza mi convinse una volta di piu` a porre mano a un’azione di contrasto piu` efficace e decisi di chiamare Falcone il giorno stesso in cui fui nominato Ministro. A questo riguardo, ho visto che poi il presidente Cossiga rivendicava una sorta di primazia in questa idea, ma va detto che il Ministro della giustizia ero io e non lui; inoltre, bisogna considerare la sua straripante personalita`; probabilmente entrambi eravamo stati influenzati da un incontro con il professor Di Federico che aveva pensato – lui sı` per primo – che Falcone, con il quale era in cordiali rapporti, potesse essere interessato a un’ipotesi di questa natura, cioe` a trasferirsi dalla procura di Palermo al Ministero della giustizia a Roma. Le ragioni di cio` sono note, poiche´ Falcone stesso ha dichiarato piu` volte che gli era ormai impedito di esercitare il suo ruolo di magistrato dell’accusa presso la procura di Palermo.

La singolare avventura umana e professionale di Falcone e` proprio quella di essersi trovato, in frangenti diversi della sua esperienza di magistrato, a dover subire anche l’irrisione di colleghi che dicevano parole del tipo: Falcone processa la mafia, ma cos’e` la mafia? Non si puo` processare la mafia, ma si possono processare i mafiosi. Queste erano le parole dei suoi colleghi. Naturalmente, l’osservazione ha un suo fondamento, ma diventa pura distorsione dei fatti se si intende che non esiste l’associazione mafiosa e dunque che non si possa o non si debba indagare il fenomeno, anche se quando si cala dalle teorie sulla nuda terra del diritto e` giusto, come fece Falcone con il maxiprocesso, che si istruiscano le accuse nei

confronti di ogni singolo esponente di cosa nostra.

L’espressione di guerra alla mafia non dovrebbe essere usata dai magistrati e neanche dai politici; tuttavia, purtroppo, almeno allora, corrispondeva all’evidenza; pertanto, alla guerra ci si va attrezzati e non in ordine sparso. Viceversa, la filosofia di contrasto a cosa nostra, salvo momenti eccezionali come quelli successivi all’assassinio di un alto magistrato o di un prefetto come Dalla Chiesa, era impostata nei termini della reazione, cioe` non era mai stata neppure concepita, almeno a mia memoria (forse bisogna andare a epoche antecedenti, sicuramente a quella dell’altro prefetto Mori negli anni Venti o Trenta), l’idea di aggredire la mafia da parte dello Stato. Questo invece e` quello che con Giovanni Falcone e Vincenzo Scotti innanzitutto, insieme a molti altri magistrati e responsabili delle forze dell’ordine, ci proponemmo di fare. Per realizzare questo scopo

bisognava innanzitutto coordinare le forze sul campo, cioe` magistrati e forze di polizia. Succedeva infatti anche sul fronte della prevenzione che su un singolo caso arrivassero in tre (Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza) e che in occasione di altri casi non arrivasse nessuno; succedeva, appunto, che i magistrati a cui era affidata la repressione fossero singoli esponenti, quindi esposti alle rappresaglie spietate di cosa nostra, pertanto occorreva coordinare anche l’azione dei magistrati. Nacque  l’idea delle procure distrettuali antimafia in cui far lavorare insieme i vari sostituti procuratori guidati da un procuratore, in modo che circolassero tra di loro le informazioni, si cementassero le esperienze e si potesse quindi procedere in modo piu` coordinato.

Mentre stavamo elaborando questa idea delle procure distrettuali, leggendo i documenti della Commissione antimafia di qualche anno prima mi imbattei in una proposta del senatore Valiani, quella di creare una Procura nazionale antimafia. Mi stupı` che nessuno avesse rilevato il valore di questa proposta. La feci mia, discutendone con i miei collaboratori. Nello stesso tempo stimolai il ministro Scotti, trovandolo prontissimo, a fare lo stesso per le forze di polizia. Da qui sono nate la DNA e la DIA. Come sapete il percorso per il loro varo parlamentare fu molto accidentato. Nel gennaio 1992 dovemmo affrontare anche un sciopero nazionale dei magistrati contro l’istituzione della Procura nazionale antimafia, sciopero al quale, debbo dire, non tutti i procuratori parteciparono.

Il candidato naturale, per il mondo, era Giovanni Falcone.

Comincio` una contestazione aspra rispetto alla  candidatura di Falcone nei settori della magistratura, compresi alcuni esponenti del Consiglio superiore della magistratura, e della politica. Per questo, dicevo, Falcone ebbe nella sua vita l’esperienza dolorosa di essere attaccato prima da destra, da quelli che negavano l’esistenza del fenomeno mafioso, poi da sinistra, da quelli che lo contestavano accusandolo di essere ormai asservito al potere politico. Il Consiglio superiore della magistratura, infatti, scelse un altro candidato, Agostino Cordova, che aveva esperienza di contrasto alla ’ndrangheta, ma non aveva l’esperienza di contrasto a cosa nostra ne´ quella rete feconda di relazioni internazionali, in particolare con i giudici e con l’FBI americani, che avevano consentito a Falcone di sfruttare al massimo le investigazioni americane e, in particolare, la deposizione di Tommaso Buscetta.

Accanto al varo della Procura nazionale antimafia, ci preoccupammo anche di mettere le basi di una legge antiracket, nella convinzione che si dovesse affrontare non soltanto l’aspetto militare di cosa nostra, ma anche la sua quotidiana sopraffazione nel territorio con la legge del pizzo. In particolare, queste iniziative furono accelerate dopo l’omicidio di Libero Grassi.

Cominciammo ad intervenire anche sul codice di procedura, sapendo, da vecchio garantista, anzi, all’epoca, da giovane garantista (ero stato il primo firmatario della legge sulla responsabilita` civile dei magistrati),  che talvolta in nome della lotta alla mafia si possono commettere anche gravi errori, si  puo` ledere la trama delicata del diritto; dunque non bisogna neanche cedere a suggestioni di giustizia sostanziale e spiccia.

Poco dopo lo sciopero nazionale dei magistrati contro la super procura (gennaio 1992), viene assassinato in Sicilia Salvo Lima.

E` probabilmente quello il delitto che prelude alle stragi successive.

 

 

L’assassinio di Salvo Lima fece dire a Falcone: «adesso puo` succedere tutto». In conseguenza di questo assassinio si lanciò l’allarme di una offensiva terroristico-mafiosa: un’informativa dei Servizi, come da chiarimenti chiesti da Andreotti.

MARTELLI. Il ministro Scotti mi disse che la fonte non era solo quella. Si rumoreggiava (ma, ripeto, erano rumori piu` che notizie in qualche modo circostanziate) di qualche interesse internazionale confuso e di una eccessiva vicinanza con la guerra sanguinaria che era ormai scoppiata nella vicina Jugoslavia. Vi era anche il timore di esportazioni di armi dalla ex Jugoslavia, che si stava disfacendo in una guerra generale di repubbliche prima federate, e di contatti con la nostra malavita.

Veniamo alla strage di Capaci. Come tutti sapete, l’assassinio di Giovanni Falcone desto` un allarme e un’emozione immensa nel mondo intero.

Credo che mai vicenda italiana abbia ricevuto una tale attenzione come questa. Falcone era il giudice piu` noto, il piu` popolare, l’antipadrino, come io lo chiamavo. Naturalmente, anche in questo caso si dovette subito cercare di fare chiarezza in ordine ai polveroni, secondo i quali l’ordine era partito da Roma, oppure vi era una talpa al Ministero, laddove era abbastanza evidente che era stato sufficiente seguire i movimenti della scorta di Falcone a Palermo per capire che questi era in arrivo. Non vi era bisogno di speculare su chissa` quale ipotesi. Questo, del resto, era l’insegnamento che Giovanni Falcone stesso mi aveva impartito e che io avevo accolto. Quando lo incontrai per la prima volta, ero vice segretario socialista ed ero capolista a Palermo per la prima volta in vita mia. La prima cosa che feci fu andare a trovarlo nell’ufficio blindato in cui si trovava pallido e quasi febbricitante. Quanto era vitale e sereno nel periodo in cui si trasferı` a Roma, tanto lo ricordero` in questa condizione di enorme tensione all’epoca del maxiprocesso a Palermo. Gli chiesi, con un’aria di politico che la sa lunga, se fosse proprio possibile che il capo della mafia fosse quel contadinotto con la faccia da modesto sensale di provincia, Toto` Riina. Falcone mi rispose di sı`, che era proprio lui e mi invito` a non sbagliare e a non applicare i miei schemi alla realta` siciliana. Riina era il capo – mi disse – perche´ era il piu` feroce, perche´ era colui che aveva organizzato, dentro l’esercito di cosa nostra, l’esercito piu` combattivo e combattente, il piu` spietato nella liquidazione dei avversari, sia quelli interni sia quelli esterni. Per diventare capo della mafia – mi spiegava – non bisogna essere laureati a Harvard; se la mafia fosse una lobby finanziaria, non sarebbe la mafia, ma sarebbe un’altra realta`; la mafia si fonda, innanzitutto, su questa sua capacita` e spietatezza nel somministrare morte; e` perche´ uccide ed ammazza che la mafia incute rispetto e che la gente, molta gente, si piega e fa quello che la mafia ordina. Questa legge feroce richiedeva proprio gente come Toto` Riina ed era per questo che egli era il capo dei capi. I mafiosi, proseguı` Falcone, possono stringere patti o imporre condizioni, ma non prendere ordini da politici. Giovanni Falcone viaggiava con il rango di un presidente del Consiglio, con aerei dei Servizi segreti, blindato e scortato.

L’attentato fu attuato con 600 chili di tritolo per divellere 200 metri di autostrada. Vi fu un salto qualitativo negativo, mai compiuto prima da cosa nostra, con un attentato di stile colombiano piu` che siciliano: qualcosa di nuovo, effettivamente.

Si era all’indomani delle elezioni politiche del 1992 e del mezzo cataclisma elettorale che vi era stato. Il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si era dimesso un mese prima della scadenza del suo mandato e imperversava il toto-Presidente e il toto-Governo. La strage di Capaci colse la politica in un momento di trapasso fisiologico, e anche patologico, viste le dimissioni del Presidente della Repubblica, che il maggior partito dell’opposizione voleva porre sotto impeachment per la vicenda Gladio. Eravamo gia` piu` che nell’anticamera di «mani pulite» e di una lunga contestazione, ormai sistematica, dei partiti di Governo da parte dell’establishment economico, probabilmente preoccupato per Maastricht e per le conseguenze di un protezionismo non piu` possibile; eravamo alla vigilia di quella che poi, nell’estate,

sarebbe stata la tempesta della lira, che fece bruciare prima 40.000 miliardi di riserve, nel tentativo di mantenere quel livello di cambio all’interno del cosiddetto serpente monetario europeo, per poi doversi arrendere, svalutare del 30 per cento e poi varare una finanziaria da 100.000 miliardi, Dopo l’assassinio di   Borsellino vi fu un momento forse ancora peggiore che dopo Capaci. Poi grazie a molti pentiti, incentivati opportunamente, si arrivo` alla cattura di Riina e di altri boss mafiosi.

Le stragi mafiose, alcune delle quali legate a misteri imponderabili, avvengono in tempi e in circostanze strane: le  Brigate Rosse praticamente sconfitte dal Generale Dalla Chiesa e dall’azione decisa dello Stato e dei patrioti controrivoluzionari della Nato, la “Gladio Bianca”, causano la sua uccisione a Palermo il 3 settembre 1982 perché spedito là a dare un decisivo colpo a Cosa nostra siciliana. Fu delitto politico-mafioso? Moro venne ucciso dalle Br nel 1979. C’è attinenza tra i due fatti? Non si è mai saputo.

Nel 1989 crolla il “Muro di Berlino”, eretto il 13 agosto 1961 e smantellato a colpi di piccone dal popolo oppresso dell’ex Urss il 9 novembre 1989. L’ideologia comunista viene “accantonata” perché considerata fallita: in Italia però stranamente il Pci cambia nome alla Bolognina,  In via Pellegrino Tibaldi, 17 si consumò così la dolorosa svolta dopo oltre un anno di travagli dei vecchi comunisti. Il Pci, il 14 febbraio del 1991, si trasformò in Pds  (Partito democratico della sinistra). Circa 1 anno dopo inizia l’attacco di “Mani Pulite” al sistema “corrotto”, come da premessa di questo servizio. E poi le stragi di mafia e/o…anche di tipo politico.

La distruzione del pentapartito da parte di “mani pulite nel ’92 doveva avvantaggiare alle politiche del ’94 la “gioiosa macchina da guerra” dell’ex comunista Achille Occhetto? Questo servizio lo abbiamo scritto con ampio risalto perché fatto storico acclarato e imprescindibile.

Ma alle elezioni la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto perse clamorosamente con un notevole distacco e con i seguenti risultati: Progressisti 32,3%. Polo delle Libertà, Alleanza Nazionale, Lista Pannella e Polo del Buon Governo 49,2%. Patto per l’Italia 14,7%.

Il tutto nonostante la magistratura con azioni volte a denigrare il centro-destra (come ha sempre fatto) chiedeva, a macchia di leopardo, l’elenco dei candidati e dei nomi dei club di Fi nascenti. Ovviamente in modo anticostituzionale e illegittimo, per favorire come al solito le sinistre e cioè gli ex comunisti e liste correlate, diffondendo a man bassa cortine fumogene negli occhi degli Italiani elettori. Ma ora la corruzione della magistratura e le sue implicazioni politiche di sostegno alle sinistre (anche e forse più a quelle estreme) stanno emergendo in tutta la loro virulenza, dopo il caso Palamara e la presunta loggia massonica “Ungheria” e si spera vengono accertate responsabilità precise. E’ ora di finirla, la magistratura, poche centinaia di elementi  per fortuna non può fare politica a danno della giustizia vera.

 

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