Massimo Giletti, fautore di un giornalismo lontano dagli “Yes Man”


Giletti, lei ha passato gli ultimi anni dedicando grande attenzione alla Sicilia.

«Io, piemontese doc, in realtà ho un po’ di sangue siciliano in alcuni avi molto lontani. La verità è che trovo la Sicilia di una bellezza infinita e cerco di stimolare la reazione culturale delle persone. Non credo che la mafia si sconfigga solo con la magistratura, la polizia, le azioni distruttive. La mafia si batte cambiando il modo di pensare dei ragazzi. Ci vogliono insegnanti, non pistole o armi».

Tra le tante domande fatte dalla giornalista Maria Volpe in una lunga ed esaustiva intervista fatta a Massimo Giletti e pubblicata su www.ilcorriere.it – che invito a leggere- mi ha colpito particolarmente quella che riportiamo all’inizio del mio articolo. Sì, perché credo che Max (così lo chiamano i suoi veri amici) abbia espresso meglio di ogni altro quella che è la sintesi culturale sul tema della mafia. “Ci vogliono insegnanti, non pistole o armi”. Ecco, credo che la forza di questa espressione stia tutta in un personaggio come Giletti, capace di individuare come pochi altri il metodo infallibile della cultura prima ancora della forza delle armi. Ma poi c’è tanto altro in questa intervista in cui mi è sembrato di cogliere il tratto di un uomo, giornalista e personaggio televisivo con tanti anni di carriera, la forza della sua stessa fragilità che emerge quando non fa mistero delle tante delusioni avute da parte di tanti colleghi cui, peraltro, se ne sono contrapposti altri che invece gli hanno dimostrato vicinanza nei momenti più difficili della sua carriera. E poi i suoi affetti più cari, da papà che è mancato all’inizio dell’anno 2020 a sua madre che adora profondamente e che oggi non è più tanto lucida mentalmente, e ancora i suoi fratelli con i quali ha rinsaldato un rapporto di grande affetto ancor più forte di prima, non solo nel curare l’azienda tessile biellese gestita in modo impeccabile da papà fino alla sua morte. C’è molto intimismo in questa intervista, capace di cogliere il desiderio per nulla nascosto di esprimere sinceramente ciò che Massimo Giletti ha nella sua anima, negandosi sempre, come suo stile inconfondibile, al sensazionalismo della sua vita privata, laddove i suoi amori e le sue passioni personali non sono mai dati in pasto alla curiosità della gente. “Il dolore mi ha reso forte e non mi vergogno più di piangere”. Ecco un’altra frase che fa emergere l’uomo, il quale ha sofferto molto soprattutto quando al suo programma “Non è l’Arena”, che ha avuto sempre un alto indice d’ascolto, era stato dato il benservito dalla Rai, estromettendolo dopo tanti anni di attaccamento all’Azienda Televisiva di Stato. Oggi prosegue con lo stesso programma negli studi televisivi di La7 dell’editore Urbano Cairo, con il quale ha un notevole rapporto di franchezza e rispetto reciproco. Massimo Giletti è un personaggio scomodo, un giornalista integro che non conosce gli accomodamenti di certi “Yes Man”, ma ha sempre tirato dritto per la sua strada grazie al suo credo professionale che ha sposato fin da quando, giovane cronista di strada, ha cominciato la sua carriera di giornalista televisivo nella trasmissione “Mixer” di Gianni Minoli, il quale disse di lui che era “il miglior giovane cronista di strada”. Da allora sono passati oltre 30 anni e la carriera di Massimo Giletti per sua esclusiva capacità personale è andata sempre più in alto, proponendo temi giornalistici scomodi, irti di spine come la mafia, la malasanità, la malapolitica, la malavita, la n’drangheta. E’ l’essenza del suo programma “Non è l’Arena”, quello di entrare nel vivo di cose che altri tendono ad aggirare come fosse un ostacolo pericoloso. Tutto questo gli ha cambiato la vita, fin da quando viaggia sotto quella scorta che gli è stata affidata per preservarlo da ogni eventuale pericolo di incolumità personale. Una scelta professionale che Giletti, consapevole del pericolo ha voluto correre per sua etica professionale, capace di rendere un servizio pubblico fatto della ricerca di verità nascoste. E’ il suo modo di essere, il suo credo professionale che non lo ostacola davanti a nulla, ma che, tuttavia, ha dato una svolta repentina alla sua vita che lo sta facendo soffrire. Credo che se dovessi chiedergli se ritornando indietro rifarebbe le stesse scelte professionali, sono sicuro che Massimo Giletti mi risponderebbe senza alcuna esitazione che non cambierebbe nulla, nonostante la sua vita sia mutata e l’abbia cambiato nell’anima. Anche se dice: ”La sofferenza è un arricchimento e da tutto ciò sono uscito migliore”.

Salvino Cavallaro

 

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